La maggior parte degli uomini si accontenta. Una esigua minoranza, no. È una questione di Dna. C’è chi nasce “piccino, piccino”, e non fa nulla per uscire dalla sua “aurea mediocritas”, e chi, in tutto, è “esagerato”, nel bene e nel male. Giacomo Bologna, – chi l’ha conosciuto lo sa – era così, “smisurato”, di stazza e di cuore. Non riusciva a non pensare in grande. Autentico gigante di umanità e di amore, è stato l’alfiere di quel vino, la “Barbera”, che superato il periodo nero degli scandali infamanti – ricordate il metanolo? – anno dopo anno, ha potuto esprimere tutta la sua grandezza, tanto da “battersi” alla pari con i vini più celebrati di ogni parte del mondo. Purtroppo, come dicevo in apertura, questa “grandezza” d’animo, è merce rara. E la nostalgia per personaggi come Giacomo è ogni giorno più forte, visto che sempre più frequentemente ci si imbatte in persone – vigneron o ristoratori, sic! – che non amano profondamente il loro lavoro, ma si limitano ad esercitare “un’utile professione” (ricordate Oscar Wilde?). In poche parole, fanno vino o gestiscono locali, con un unico obbiettivo: fatturare. Per carità, senza “soldini” non si campa… ma quando i denari sembrano tanto i “trenta” di evangelica memoria, beh, siano maledetti! È l’allarme che viene da una zona del nostro paese particolarmente vocata alla cultura della vite, la Sicilia. Giancarlo Lo Sicco e Nino Aiello, due bravi wine writers palermitani, mi invitano a partecipare a un interessante convegno sui vini rossi di Sicilia, organizzato dalla Camera di Commercio di Ragusa. Nei tre giorni di lavori, assaggio decine di vini – alcuni davvero grandi – e riempio il mio taccuino di considerazioni, molte positive. Unica nota stonata, la scoperta che un demone maledetto, il dio dollarone, si aggira tra le vigne di Sicilia, ispirando alcune grandi aziende vitivinicole, a chardonnay-tizzare e a cabernet-tizzare decine di ettari di terra. In poche parole, vitigni autoctoni al rogo… Ma come? Proprio adesso, che l’austero signore di queste terre dal nome intrigante e dai profumi suadenti, il Nero d’Avola, finalmente riceve adeguato trattamento e, in unione con altri uvaggi o anche in purezza, inizia a dare vita a vini di rara suggestione. Una follia! Per scongiurare l’attacco omologante, e in onore di chi non molla, in attesa di brindare al 2000 alzando il mio “bicchiere mezzo vuoto” con il “bicchiere mezzo pieno” di Paolo Massobrio, – brindisi rigorosamente “Barberoso” e “Giacomiano”, of course – tra gli oltre 50 vini degustati in terra di Sicilia, scelgo il complesso Lamorèmio di Benanti (095/7893533), Mille e una notte di Donnafugata (092/3999555), Sciri di Cos (092/3864042)… Tre campioni da Nero d’Avola! [email protected]
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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Emanuele Boffi