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Nella mia scuola si fa come dico io

Viaggio tra gli istituti italiani dove vige l’educazione parentale. Espressione di realtà cattoliche o libertarie, non conoscono contratti collettivi e sindacati, ma solo risultati lusinghieri (e rette basse)

Rodolfo Casadei
05/06/2017 - 4:00
Interni
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HomeSchooling_05

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Aria di festa sugli interminabili prati e sul ciottolato del Centro educativo La Contea. Pane spalmato d’olio d’oliva, fave crude col sale, torte casalinghe confortano grandi e bambini sul far del mezzogiorno, quando la premiazione del primo concorso “Gilbert Keith Chesterton: uomo vivo” è appena terminata. È qui che la scuola libera G. K. Chesterton di San Benedetto del Tronto ha convocato i vincitori del concorso, – tre classi di scuole elementari, di cui due paritarie e una statale – qui sulla collina di Santa Lucia che sovrasta la città giù in riva all’Adriatico.

Gli occhi godono la lucida massa delle acque che il declivio spalanca subito fuori dall’unico edificio colonico del centro, oppure sulla destra la seghettatura azzurrina e bianco foschia del monte Vettore, dei monti Sibillini, del Gran Sasso. Ma genitori e figli sono presi di più dai giochi o dalla curiosità di maneggiare gli zainetti appena vinti o rimirare il favoloso contenuto di prodotti di cartoleria delle scatole esagonali consegnate ai primi classificati. Scene agresti di fine anno scolastico, comunissime competizioni fra scuole pretesto per un bel salto in campagna. Eppure qua nell’ultimo avamposto delle Marche, a un solo passo dall’Abruzzo, l’evento in corso ha qualcosa di giornalisticamente rilevante: la Chesterton è una scuola libera nel senso che non fa parte del sistema scolastico ufficiale italiano, non è statale e non è nemmeno un istituto privato parificato, profit o no profit. È una scuola parentale, ovvero una scuola familiare, ovvero una scuola paterna, espressione dell’educazione parentale, o istruzione familiare, o homeschooling che dir si voglia, fenomeno che in Italia coinvolge un migliaio di famiglie. Si tratta di quella forma di istruzione che i genitori hanno il diritto e il dovere di impartire ai propri figli (articolo 30 della Costituzione) anche senza iscriverli nelle scuole del sistema scolastico nazionale, purché si dimostrino in grado di farlo e i risultati siano certificabili.

Cultura Africana in Wolof
Della scuola G. K. Chesterton di San Benedetto del Tronto, dei suoi cospicui successi e della realtà di comunità cristiana che ne è la sorgente (l’associazione laicale Compagnia dei Tipi Loschi, ispirata alla figura del beato Pier Giorgio Frassati) abbiamo già parlato un paio di anni fa. La notizia d’attualità è che questa scuola parentale ha indetto un concorso rivolto alle scuole statali e paritarie, smentendo uno dei luoghi comuni sull’homeschooling: che, come ha scritto L’Espresso in un suo servizio del novembre scorso, avrebbe «tante anime e un filo che le unisce: la sfiducia nella scuola pubblica». La Chesterton collabora volentieri con la scuola pubblica, e non solo per farsi pubblicità e attirare iscrizioni ai propri corsi. I prati, il recinto delle asine, gli orti e la biblioteca degli alberi della Contea sono sempre aperti e sono frequentati da scolaresche di ogni estrazione. «Non esiste proprio che abbiamo scelto la Chesterton per sfuggire alla scuola statale, l’abbiamo scelta perché è una grande occasione per nostro figlio, una cosa dell’altro mondo», dice Francesca mamma di Riccardo che sta finendo la prima media e moglie di Marco, insegnante di matematica e scienze sin da quando la scuola è iniziata nel 2008. «Pensi che Riccardo ha rinunciato a venire con noi in gita ad Assisi per andare a lezione, perché le lezioni si facevano qui sulla collina!».

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È vero invece che l’educazione parentale, in Italia come nel resto del mondo, ha tante anime. Organizzata da Pro Vita, il 19 maggio si è svolta a Roma una conferenza internazionale sulla scuola parentale e la libertà educativa nel corso della quale sono intervenuti fra gli altri l’americano Mike Donnelly della Hslda, l’ufficio legale che tutela i diritti delle famiglie che scelgono l’homeschooling negli Stati Uniti, e il russo Alexey Komov, ambasciatore all’Onu per il putiniano Congresso mondiale delle famiglie. «L’imposizione dell’ideologia gender è solo la punta dell’iceberg di un sistema statale che mira a plagiare le menti delle nuove generazioni con i dogmi del politicamente corretto promossi dalla grande finanza e dalle varie lobby, come quella Lgbt, che lavorano per un nuovo ordine mondiale», scrivono i promotori dell’incontro. «La scuola parentale, già molto diffusa negli Stati Uniti, può essere un ottimo strumento per una vera ed autentica educazione libera».

Tutt’altra musica si ode dalle parti della Rete per l’educazione libertaria, che riunisce scuole parentali di cultura anarchica, ambientalista, antiautoritaria. Ad Abbiategrasso opera la scuola Ubuntu (parola africana che significa “umanità”) frequentata da bambini fra i 4 e i 14 anni, che si definisce «un centro culturale ed educativo basato sul rispetto della Carta Onu dei diritti dei bambini e sulla pratica della pedagogia attiva e non direttiva», che propone una didattica «in movimento, aperta al Mondo, in contatto con la Terra, attiva e partecipata», basata sull’«apprendimento incidentale». L’apprendimento incidentale consiste nell’essere esposti a determinate esperienze dove l’obiettivo principale non è generare apprendimento (per esempio guardare un film su di un argomento che poi si ricorda). Invece l’apprendimento intenzionale, col quale ci si impegna per imparare cose che non si conoscono, è quello tipico delle scuole “convenzionali”.

A Verona opera la Piccola scuola libertaria Kether frequentata da una ventina di studenti fra i 6 e i 13 anni «organizzati autonomamente in pluriclasse libertaria che, quotidianamente, in maniera a-direttiva e non adultocentrica, costruiscono nella filosofia e nella pratica dell’incontro la loro realtà educativa empirica ed incidentale insieme a tre accompagnatori stabili e tre accompagnatori di materie: Lingua Inglese Pidgin, Cultura Africana in Wolof, Musica polifonica incidentale», ecc. Il fatto che l’educazione non sia “adultocentrica” implica che «bambine/i, ragazze/i, sono liberi di decidere dell’assunzione, del mantenimento e del licenziamento di accompagnatrici/ori come pure della frequentazione o meno delle stesse/i, delle loro materie proposte, siano esse considerate convenzionalmente “obbligatorie” o facoltative». Ovvio che in una scuola del genere non possa vigere il Contratto collettivo nazionale della scuola e che i sindacati se ne debbano stare alla larga. Ma nemmeno in quelle di estrazione cattolica. A Sant’Ilario d’Enza e a Reggio Emilia operano da molti anni le “Scuole Immaginache”, create a partire dal 1983 dal movimento ecclesiale Familiaris Consortio. Probabilmente si tratta della più antica esperienza italiana di scuola parentale e anche della più numerosa in termini di studenti: 80 alunni nella primaria e 90 nelle due medie.

A pranzo con gli insegnanti
«Noi abbiamo moltissimi volontari: sono genitori, nonni, zii, amici, ex alunni che danno un po’ del loro tempo, delle loro competenze e della loro passione educativa. Alcuni, davvero pochi, sono retribuiti dalla cooperativa che gestisce le scuole con contratto regolare Aninsei», spiega Maria Bonaretti, la principale responsabile. L’Aninsei è l’Associazione nazionale istituti non statali di educazione e di istruzione, dunque il contratto in questione è lo stesso applicato nelle scuole paritarie. Ma le tre scuole parentali della Familiaris Consortio non hanno nessuna intenzione di diventare paritarie, perché «così siamo completamente liberi, scegliamo gli insegnanti indipendentemente dal titolo: persone che riteniamo competenti e che condividano gli ideali cristiani e di amicizia su cui si fonda la nostra scuola. Possiamo basarci sul volontariato e mantenere così i contributi dei genitori davvero bassi». I contributi sono quelli che altrove chiamerebbero la retta. A Sant’Ilario e Reggio Emilia ammontano a 1.400 euro annui per le elementari e 1.500 per le medie. A San Benedetto del Tronto la cifra è ancora più bassa: 60 euro al mese, e gli studenti sono abitualmente ospiti a pranzo dei loro insegnanti. Secondo l’articolo de L’Espresso la scuola Ubuntu si reggerebbe su versamenti mensili di 350 euro da parte di ciascuna famiglia (non è stato possibile avere conferma dagli interessati). Le differenze sembrano dipendere dalla differente capacità dei soggetti di coinvolgere volontari qualificati nel ruolo di insegnanti e di attivare iniziative di autofinanziamento.

Gli allievi delle scuole parentali sono tenuti a sostenere l’esame di licenza media e quello di maturità presso scuole statali o paritarie per vedere espletato l’obbligo scolastico e formativo. Ma normalmente le scuole parentali fanno loro sostenere esami alla fine di ogni anno presso scuole statali o paritarie per vedersi riconosciuta l’idoneità alla classe successiva. I risultati sono spesso lusinghieri. Quest’anno per la terza volta la scuola Chesterton presenterà cinque suoi studenti all’esame di maturità presso una delle scuole più prestigiose di Fermo, il liceo Annibal Caro, dove normalmente si fanno stragi di privatisti. L’anno scorso tutti e cinque i ragazzi provenienti dalla Chesterton si sono maturati a pieni voti e la commissione ha fatto i complimenti a Lorena, la loro insegnante di italiano.

@RodolfoCasadei

Tags: homeschoolingScuola
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