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Alessandro è un poeta. A fine maggio su un quaderno a righe ha scritto “Il morso”: «Il morso del serpente mi ha cacciato in un mal maldicente». Alessandro è un bel ragazzo con un volto segnato dalla sofferenza, perché il “mal maldicente” gli ha arato sul viso cicatrici di dolore. Si muove piano, parla con una certa flemma avida di vita. Eppure sorride spesso con una bocca che sembra essere stata creata solo per ridere e non si capisce quale ala d’angelo abbia sfiorato quest’uomo che parla di un altro sé, un altro Alessandro che fu, devastato dalla cocaina e dall’hashish, che il serpente aveva ridotto a «povero deficiente» e che invece, adesso, in un pomeriggio giallo di giugno, legge i suoi pensieri più intimi ad un estraneo. C’è qualcosa che gli preme dentro e che vuole comunicare a tutti: io sono un risorto, ragazzi. «La famiglia e la comunità mi hanno aiutato a scacciare la paura», declama. «Il morso del serpente ho abbandonato per sempre...
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