Berlusconi è morto, la gogna mediatico-giudiziaria contro di lui no
La Procura di Firenze insiste contro l’ex senatore Marcello Dell’Utri e indirettamente anche contro Silvio Berlusconi, malgrado sia scomparso un mese fa: l’inchiesta sui presunti mandanti politici delle stragi mafiose del 1993-94, aperta dalla magistratura fiorentina nel lontano 2017, non si ferma davanti a nulla.
La tesi abnorme dei pm di Firenze
Mercoledì abitazioni e uffici di Dell’Utri sono stati perquisiti dagli inquirenti, alla ricerca di prove e di indizi che possano confermare la loro tesi. Una tesi oggettivamente abnorme: Berlusconi (anche se non più indagato in quanto morto) e Dell’Utri sarebbero i mandanti politici di tutti gli attentati mafiosi andati a segno e/o falliti nel biennio 1993-94, e quindi:
1) dell’autobomba che a Roma esplode il 14 maggio 1993 in via Ruggero Fauro, contro Maurizio Costanzo (24 feriti);
2) dell’autobomba che a Firenze esplode nella notte tra il 26 e il 27 maggio 1993 in via dei Georgofili (5 morti e 40 feriti);
3) dell’autobomba che esplode a Milano la sera del 27 luglio 1993 in via Palestro (5 morti);
4) dell’autobomba che esplode a Roma alla mezzanotte del 28 luglio 1993 in piazza San Giovanni in Velabro (5 feriti);
5) dell’autobomba che esplode a Roma 5 minuti dopo la mezzanotte del 28 luglio 1993 in piazza del Vicariato (17 feriti);
6) dell’autobomba che non esplode a Roma il 23 gennaio 1994 allo stadio Olimpico, sede quel giorno della partita Roma-Udinese, dove avrebbero potuto morire almeno un centinaio tra carabinieri e spettatori;
7) della bomba che non esplode nella campagna di Formello (Roma) nell’aprile 1994: l’attentato avrebbe dovuto uccidere Salvatore Contorno, un mafioso che si era pentito nel 1984, ma l’esplosivo viene scoperto in anticipo dai carabinieri.
Cosa non torna nelle accuse a Berlusconi
Lo scopo di questa lunga e mostruosa follia assassina, secondo la Procura di Firenze, sarebbe tutto politico: la genesi delle stragi del 1993-94 troverebbe infatti giustificazione nell’intesa tra Cosa nostra e i “mandanti politici” degli attentati, cioè l’indagato Dell’Utri e il non più indagato Berlusconi, che ne avrebbero strumentalizzato l’effetto destabilizzante a fini elettorali nelle elezioni del 27-28 marzo 1994.
Nell’accusa, però, molte cose non tornano: che senso ha, per esempio, l’attentato contro Costanzo? Il conduttore, nel 1993 punta di lancia delle tv berlusconiane, andava “punito” per il suo forte impegno antimafia, ma soprattutto perché all’interno di Mediaset era tra quanti si opponevano all’ipotesi di una “discesa in campo” di Berlusconi. La pensava, insomma, esattamente come tanti altri, in azienda: nessun attentato, però, ha mai riguardato chi, come Gianni Letta o Fedele Confalonieri, non vedeva di buon occhio l’impegno politico del loro azionista.
Per Fi nessun vantaggio dalle bombe
Quanto al fatto poi che le bombe potessero avvantaggiare Forza Italia, davvero non pare molto credibile che un movimento politico appena nato (l’annuncio della discesa in campo di Berlusconi risale al 26 gennaio 1994) possa sperare di trarre vantaggi in termini di voti da una serie di stragi. A rigor di logica, semmai, a incassare quel tipo di vantaggio può essere il classico “partito d’ordine”, meglio se reso affidabile agli occhi dell’elettorato da una lunga storia. Ma Forza Italia, al contrario, era il più nuovo dei partiti e non si presentava affatto come “partito d’ordine”: all’epoca, semmai, tutti dicevano fosse uno scombiccherato “partito di plastica”, creato dal nulla e privo sia di personalità, sia di idee. Tant’è vero che prima delle elezioni del marzo 1994 in ben pochi scommettevano sul suo successo.
Insomma, Forza Italia non era nella condizione migliore per avvantaggiarsi di bombe (la cui origine era all’epoca misteriosa, per di più) e di poveri morti innocenti. Tutto questo, ovviamente, lasciando irrisolto il tema oggettivamente più sconvolgente dell’assunto: e cioè che Berlusconi e Dell’Utri – di comune accordo con il vertice mafioso dei Corleonesi – potessero davvero avere cinicamente ideato quella raccapricciante stagione di sangue in nome di un disegno politico.
Morto (e prosciolto) il Cav, la gogna continua
Non è un caso, del resto, se da oltre un quarto di secolo tutte le accuse di presunta mafiosità contro Silvio Berlusconi si sono sempre dimostrate false e strumentali, tant’è vero che ogni volta gli stessi inquirenti hanno dovuto ammettere che erano infondate. Anche a Firenze. Dall’infamante accusa di stragismo mafioso, Dell’Utri e Berlusconi sono già stati indagati e prosciolti almeno tre volte, e sempre su richiesta degli stessi inquirenti: a Firenze è accaduto nel 1998, ma anche a Palermo nel 1997 e a Caltanissetta nel 2002.
Il punto più sgradevole di questa vicenda è che Berlusconi adesso non è più in vita, quindi non è più indagato (la morte chiude l’azione penale) e i suoi avvocati non possono più neanche difenderlo tecnicamente nel procedimento. Eppure continua a essere vittima della peggiore gogna mediatico-giudiziaria. Dopo le perquisizioni avvenute mercoledì, ieri un quotidiano è arrivato a sostenere – testualmente – che «Dell’Utri e Berlusconi, come scrivono i pm, sono stati i beneficiari degli effetti dello stragismo»: il giornale insomma prende per vera quella che finora resta soltanto un’ipotesi dell’accusa, senza alcuna prova, e che è già stata smentita dalle archiviazioni di cui sopra.
La lotta dei governi Berlusconi alla mafia
Va detto, inoltre, che i quattro i governi berlusconiani non sono mai stati timidi, nel contrasto della criminalità organizzata. Il che rende poco credibile la tesi di una filo-mafiosità di Berlusconi, e al contrario potrebbe indurre a credere che tanti calunniatori mafiosi si siano accaniti contro di lui soltanto per spirito di vendetta. Qualche esempio? Nel 2002 fu il governo Berlusconi 2 a stabilizzare l’art. 41 bis del regime carcerario, il “carcere duro” destinato ai mafiosi e ai terroristi. Fino a quel momento, la norma era temporanea e doveva essere riconfermata ogni due anni.
Nel settembre 2011 fu il governo Berlusconi 4 (che poi sarebbe caduto nel novembre 2011) a varare il nuovo Codice antimafia, che per la prima volta istituì l’Agenzia nazionale per la gestione dei beni sequestrati alla criminalità organizzata. Tra il maggio 2008 e il maggio 2011, sempre sotto il governo Berlusconi 4, furono poi arrestati 9.085 mafiosi (+31 per cento rispetto al triennio precedente), 32 dei quali considerati latitanti di massima pericolosità tra i quali il boss di camorra Michele Zagaria, uno dei capi dei Casalesi. Alla criminalità organizzata, in quello stesso periodo, vennero sequestrati 42.863 beni per un valore di quasi 19 miliardi di euro (+364 per cento rispetto al triennio precedente) e confiscati 7.747 beni per altri 4,2 miliardi (+596 per cento).
Si dirà: non è il governo che conduce la lotta alla mafia, bensì la magistratura e le forze dell’ordine. È vero, in parte, ma va detto che un ministro può imprimere un forte impeto alle indagini in un certo senso, oppure disincentivarle. Ed è un dato di fatto storico che nella repressione della criminalità organizzata nessun altro governo, prima o dopo, abbia mai fatto tanto quanto hanno fatto i governi berlusconiani.
Foto Ansa
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