
Già 63.851 persone sono state infettate dal coronavirus e 1.380 sono morte per la malattia denominata Covid-19. Dal 12 al 13 febbraio sono stati aggiunti al conteggio 15 mila casi e 242 decessi. Non si tratta di “nuovi” casi, ma dell’entrata in vigore nell’Hubei di nuovi criteri per la diagnosi: solo nella provincia epicentro dell’epidemia, infatti, verranno considerati affetti da coronavirus non solo le persone che risultano positive agli specifici test, ma anche quelle che risultano positive alla tac polmonare.
IN QUARANTENA SENZA CIBO NÉ MEDICI
Chi risulta positivo alla tac, in attesa della conferma del test, non viene ricoverato in ospedale ma posto in quarantena in appositi centri ricavati in hotel, scuole e palazzetti. In questi luoghi però, denunciano New York Times e Reuters, i pazienti vengono trasportati tutti insieme con autobus senza protezioni, non ricevono cure adeguate una volta arrivati per la mancanza di personale medico, a volte neanche cibo e acqua, e in alcuni casi sono anche lasciati soli a morire.
Colpito per giorni da febbre e problemi respiratori, Peng Andong, residente di Wuhan di 59 anni, è stato trasferito in un hotel trasformato in centro di quarantena. Lì, gli è stato detto, avrebbe potuto fare il test, l’unico che dà diritto al trasferimento in ospedale e alle cure. Il 5 febbraio è stato caricato su un autobus pieno di potenziali malati e portato all’hotel. Nell’albergo, racconta il figlio Peng Bangze, «nei primi giorni non c’erano né cibo né medici».
«È COME UNA PRIGIONE»
Sabato scorso, dopo aver cercato invano di contattare il padre, Peng è andato a visitarlo in stanza, dove l’ha trovato solo e in stato comatoso. Nessuno l’ha aiutato per trasportarlo sull’ambulanza, per timore di rimanere infettati, e dopo un tentativo in un ospedale è stato riportato all’hotel per mancanza di posti. Dopo due giorni, Peng ha ricevuto finalmente la telefonata che aspettava: si era liberato un posto letto in ospedale. Ma arrivato all’hotel per prelevare il padre, l’ha trovato morto in stanza: «Non so che cosa sia successo. Come può essere accaduto in soli due giorni?».
Deng Chao, 30 anni, è stato rinchiuso in un altro hotel di Wuhan, controllato da guardie perché nessuno potesse uscire. Le sue condizioni sono rapidamente peggiorate ma non c’erano medici cui chiedere aiuto. «È come una prigione», dichiara. «Io ho bisogno di andare in ospedale, nessuno si occupa di noi qui».
L’EPOPEA DEI WANG
La carente organizzazione di questi centri è stata denunciata anche dalla Xinhua e perfino dal Global Times, megafono semiufficiale del Partito comunista. Molti cinesi hanno affidato le loro proteste ai social media: «Dove sono finite le [grandi] capacità di governance? E l’attenzione verso il popolo?», ha scritto la nuora di Ma Xilian, rinchiusa in una struttura per giorni senza acqua.
Il 30 gennaio due fratelli sui 60 anni, Wang Xiangkai e Wang Xiangyou, sono stati portati in un hotel di Wuhan dopo che avevano manifestato i sintomi del coronavirus. L’ospedale non poteva garantire loro un letto perché aveva finito i test per accertare il contagio. Il giorno seguente, Xiangkai si è svegliato nella stanza che condivideva con il fratello, solo per scoprire che Xiangyou era morto nella notte.
Xiangkai è subito tornato a casa sua, non volendo restare un secondo di più nell’hotel. La moglie, che si era trasferita per non restare contagiata, gli ha portato il cibo tutti i giorni fino a quando non si è ammalata anche lei. La figlia Wenjun, vivendo dall’altra parte di Wuhan, dove i trasporti pubblici sono stati interrotti, non sapeva come andarli a trovare e solo dopo una veemente protesta su Weibo è stata contattata dalle autorità locali che le hanno finalmente assicurato un posto in ospedale per il padre. La famiglia ha dovuto però trasportare all’ospedale il padre a piedi, visto che non c’erano mezzi disponibili per portarlo. «Il 22 gennaio tutta la mia famiglia si è riunita a cena in occasione del Capodanno lunare. Ci siamo anche fatti una foto. Da allora abbiamo ricevuto solo pessime notizie ogni giorno».
Foto Ansa