Monica, Argentina e la battaglia dei “figli del talidomide” dimenticati da tutti

Di Chiara Rizzo
22 Agosto 2015
«Siamo stati abbandonati, perché possiamo essere dichiarati solo “compatibili”. Ma ora il caso arriverà in Senato»

talidomide

Tra la fine degli anni Cinquanta e la prima metà dei Sessanta, alle donne in gravidanza di 50 paesi fu fortemente consigliata l’assunzione di un anti nausea prodotto dalla casa tedesca Grünenthal, il talidomide. Lo spacciavano come un sedativo senza effetti collaterali. Non era così. Si stima che almeno 10 mila bambini nati focomelici tra il 1958 e il 1962 (il farmaco fu ritirato dal commercio nel 1961) sono stati vittime del talidomide, che non era mai stato testato su animali gravidi prima di essere venduto nelle farmacie. Almeno altri 10 mila sarebbero poi i casi di aborti spontanei causati dall’assunzione di talidomide nel corso di gravidanza in quegli anni.

ITALIA E BRASILE. In Italia, le vittime riconosciute dallo Stato, a partire dal 2008, sono 314: si tratta di persone nate tra il 1959 e il 1966, a cui andrebbero aggiunte almeno altre 300 persone mai nate per gli aborti spontanei provocati dal farmaco. In realtà le vittime potrebbero essere anche di più. L’Italia riconosce lo status giuridico solo ai nati negli anni della commercializzazione o nei 36 mesi successivi al ritiro delle scatolette. Ma la tragedia del talidomide è rimasta in realtà sconosciuta al grande pubblico per anni ed è plausibile ipotizzare che non furono eseguiti controlli stringenti sulla fine fatta da tutte le scatole del medicinale: d’altra parte, il New York Times ha raccontato che, proprio in questi ultimi anni, il talidomide, rimesso in commercio per curare la lebbra e alcuni tumori, in Brasile sia stato venduto senza alcuna restrizione anche alle donne incinte, cui provoca gli stessi effetti drammatici dei primi anni Sessanta. In Italia, altre vittime, nate fino al 1969 e con identiche gravi malformazioni, oggi chiedono giustizia.

PREPARATO GALENICO. Monica Pagnin (in foto) ha 46 anni ed è una di loro. Il suo caso, come quello di Argentina Romanelli, anche lei 46enne, sarà esaminato a settembre dalla Commissione sanità del Senato, dato che a Palazzo Madama è stato presentato un emendamento alla legge del 2008, per estendere lo status di vittime ai nati dopo il 1966.
Pagnin racconta a tempi.it: «La maggior parte delle vittime, a prescindere dall’anno di nascita, non ha certo una cartella clinica in cui si prova che i genitori avessero assunto quel farmaco. Ma abbiamo sul nostro corpo i medesimi segni tangibili. Io non ho il braccio destro, dal gomito mi vien fuori solo un “dito”, che in realtà è un braccio non sviluppato. Il braccio sinistro invece è ricurvo, non ho il gomito, e ho solo tre dita. Sono nata a febbraio del 1969 e mia madre ha assunto nel 1968 il farmaco. I miei genitori, quando avevo tre anni, provarono a denunciare la cosa alla stampa, conservo ancora i ritagli dei giornali che parlavano di me. Quando avevo quattro anni, mia madre se ne andò di casa. L’ho ricontrata ormai adulta, ed è stata in quell’occasione che mi ha raccontato com’era andata. È vero che nel 1968, quando lei era incinta, il farmaco era fuori commercio, ma all’epoca acquistò un preparato galenico, a base di polveri, in cui era stato inserito il talidomide. Sono sicura “al milione per cento” che la colpa è di quest’ultimo farmaco. Sono mamma di tre figli e nonna, e tutti sono nati geneticamente sani. Ho fatto un esame del cariotipo che mostrerebbe eventualmente l’origine genetica della mia malattia, ma quest’ipotesi è stata esclusa. Ho anche consultato un dismorfologo, uno specialista delle malformazioni, che mi ha detto che le mie sono compatibili con la tipica focomelia da talidomide».

PARADOSSO. «Compatibile è l’aggettivo, il crinale che segna la distanza tra la nostra vicenda e gli altri “figli del talidomide”» le fa eco Argentina Romanelli, che anima la battaglia dei nati tra il 1966 e il ’69. «Sono nata nel ’69 senza le braccia. Proprio come molte altre vittime nate prima di me. Però noi siamo stati abbandonati, perché non possiamo essere dichiarati “figli del talidomide”, ma solo “compatibili”. Io ho cinque fratelli, tutti sanissimi. Nessuno a casa si spiegava la mia malformazione. Lo stesso ginecologo, insospettito, chiese a mia madre se avesse assunto dei farmaci in gravidanza. Lei ammise di aver acquistato un anti nausea. Ma nessun medico può certificare che la causa è stato proprio il talidomide. La può solo supporre come compatibile. E così ora ci troviamo di fronte a questo paradosso di portare visibili a tutti i segni del farmaco, ma di non poterli certificare. A settembre andrò a Palazzo Madama a raccontare la mia storia, grazie al senatore Franco Cardiello (Forza Italia) che ha capito per primo le ragioni della nostra battaglia e ha fatto arrivare il nostro caso al Senato. Non mi fermerò, voglio chiedere giustizia».

[pubblicita_articolo allineam=”destra”]CON LA BOCCA. Monica Pagnin sottolinea che alla base della loro battaglia «c’è una ragione di giustizia, innanzitutto. L’assegno che ricevono coloro che sono riconosciuti come “figli del talidomide”, infatti, non mi cambierà la vita, ma mi aiuterà molto. Vivo con una pensione di accompagnamento di 780 euro al mese, ma le spese che mi trovo ad affrontare a causa della malformazione sono superiori. Ho subìto due interventi alla colonna vertebrale per gli sforzi che avevo fatto nel corso della vita non avendo a disposizione le braccia. Quando i miei figli piangevano in culla, ho imparato a sollevarli con la bocca: e sempre con la bocca ho imparato ad allacciarmi le scarpe. Ma così ho rovinato la mia colonna vertebrale. Forse sono piccole difficoltà ad occhi esterni, ma oggi per me è difficile anche pettinarmi e ho necessità di qualcuno che sia con me per accudirmi. Penso poi a chi sta peggio di me. Io almeno, grazie a Dio, le gambe ce l’ho, ma c’è chi è nato senza. Ricordo che quando ero piccola in collegio sono stata emarginata perché mi vedevano come una diversa. All’epoca non c’era una cultura del rispetto per i disabili. Ma è comunque un dono questa vita, per questo l’ho affrontata e ora lotto perché vorrei vivere una vecchiaia in modo dignitoso».

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1 commento

  1. SUSANNA ROLLI

    E allora renderanno conto a Dio: e spero anche alla giustizia umana, perchè non si scherza con la vita altrui…no no!

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