Mito e realtà della democrazia (statalista)

Di Carlo Marsonet
21 Dicembre 2024
Il libro di Hoppe critica intelligentemente il "sistema democratico" che colpisce i cittadini attraverso l’interventismo onnipervasivo dello Stato

Nel mondo occidentale dirsi democratico è quasi un’ovvietà. Proprio per questo, come capita quando le parole vengono usate in modo pressoché automatico e il cui referente empirico così sbiadisce, è forse bene andare oltre la superficie delle cose. Si potrebbe allora scoprire, per esempio, che l’affermazione che a tanti piace, “di democrazia non ce n’è mai abbastanza”, non equivalga a dire tutela della libertà individuale, delle sue proprietà e dei suoi diritti inalienabili, quanto piuttosto celi un proposito egualitario e redistributivo tendenzialmente senza limiti: il che significa che la democrazia implica, in quest’accezione, qualcosa che ha più a che fare col socialismo che non con la salvaguardia della libertà.

Interventismo statale

Lo scienziato sociale austriaco Ludwig von Mises, nel primo Novecento, affermò come democrazia significasse essenzialmente autodeterminazione e autogoverno. In un classico contemporaneo ora ripubblicato da Liberilibri, Democrazia: il Dio che ha fallito, l’economista Hans-Hermann Hoppe dimostra, storia alla mano, che la realtà è ben diversa. Il tedesco, transitato anche per l’Italia alla John Hopkins University, è un allievo dell’economista libertario americano Murray Rothbard, a sua volta allievo di Mises. Ma come l’americano ha tentato di portare alle estreme conseguenze il liberalismo misesiano, immaginando una società senza coercizione, cioè senza Stato, così il tedesco ritiene che Mises fosse troppo indulgente con la democrazia. La democrazia ideale che l’austriaco immaginava diventa altro: anziché inverare il principio dell’autogoverno, si caratterizza per la spoliazione dei diritti individuale attraverso l’interventismo onnipervasivo dello Stato.

Lo sfruttamento miope

Tradotto da Alberto Mingardi e con la prefazione di Raimondo Cubeddu, il libro di Hoppe è particolarmente indicato per chi considera la democrazia un dogma che non può essere toccato – anche se i deboli di cuore potrebbero risentirne. A differenza della monarchia, per la quale Hoppe non nutre comunque una particolare simpatia, lo logica democratica si dimostra a conti fatti peggiore.

Il monarca, osserva Hoppe, non ha interesse a depredare i suoi sudditi, dal momento che, vivendo per mezzo di ciò che essi producono, qualora decidesse di servirsene in maniera illimitata oggi, prosciugherebbe le stesse fonti dalle quali dovrebbe attingere domani.

Questo ragionamento non vale invece per la democrazia, che dimostra di avere, economicamente parlando, un tasso di preferenza temporale assai maggiore. Detto altrimenti, scrive Hoppe, in democrazia «lo sfruttamento diventa miope». In un governo di proprietà pubblica, tutto sembra di tutti e tutti appaiono parimenti padroni della cosa pubblica. La realtà, però, è che la proprietà privata non è tutelata e, anzi, è la variabile dipendente di quella statale.

Il propellente democratico è dunque costituito dalla tassazione, per mezzo della quale alcuni cercano di vivere sulle spalle di tutti gli altri. A partire dalla classe politica, ovviamente. La quale, nota Hoppe, ha tutto l’interesse, essendo governante a tempo a differenza del monarca, a sfruttare quanto più possibile il consenso oggi, magari promettendo superbonus o magari la manna dal cielo, senza per questo dover essere ritenuta responsabile nel futuro dei disastri economici (ed etici) così causati.

Se B paga le tasse per A

Come avrebbe detto Friedrich von Hayek, il problema dell’interventismo e dell’assistenzialismo a esso legato è che causa assuefazione. Ciò significa che l’intervento pubblico promuove classi non solo economicamente ma perfino psicologicamente dipendenti dallo Stato: se ad A viene fornito un reddito grazie alle tasse imposte a B, A non avrà alcun interesse a lavorare dal momento che è B a lavorare per lui.

Secondo Hoppe, dunque, la democrazia anziché essere la condizione della civiltà e dello sviluppo, ne è piuttosto causa di immiserimento, immoralità e inciviltà. E ricorda una cosa che, forse perché è talmente ovvia, pochi ricordano: «Non è il governo (monarchico o democratico) la fonte della civiltà umana e della pace sociale, ma sono la proprietà privata e la consapevolezza e la difesa dei diritti alla proprietà privata, del contrattualismo e della responsabilità individuale».

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