Mina, Celentano e Venditti: tris di uscite natalizie

Di Carlo Candiani
09 Dicembre 2011
Tocca alle voci storiche del panorama italiano proporsi al pubblico come valido regalo natalizio. Mina e Celentano sembrano tornati ai fasti di un tempo, i loro lavori sono davvero di qualità. Rimane un po' indietro invece Venditti: il suo Unica è piatto negli arrangiamenti e nelle idee

Premessa: in questa rubrica abbiamo più volte affermato che da tempo non si ascoltano più grandi canzoni capaci di travalicare le generazioni e di diventare “cult” nell’immaginario collettivo. Le cause sono molteplici: un inadeguato ricambio di artisti capaci di coinvolgere pubblici vasti, interpreti lasciati alla deriva da autori mediocri, incapacità cronica di sostenere il canto con arrangiamenti dozzinali e piatti. E’ in questo desolante quadro che si barcamenano i “dinosauri” della canzone italiana, siano essi i puri interpreti o i cantautori, che arrivano tutti dai fasti della produzione degli anni 60 ,70 e in parte 80. Così spesso e volentieri gli album licenziati durano nelle attenzioni degli ascoltatori lo spazio del mattino e non accontentano più neppure i fan incalliti: non meraviglia quindi la riproposizione ostentata del catalogo del passato, magari pure remoto, attraverso live e compilation, che riescono a resuscitare un po’ di emozione. Il successo della recente tourneè di Dalla e De Gregori, nella quale il duo riproponeva il climax di Banana Republic della fine degli anni 70 ne è la inconfutabile prova. Va da se che il giudizio espresso di seguito risenta delle premesse appena ribadite. 

 

Natale, tempo di strenne regalo, di piacere personale e di piccole soddisfazioni nella ricerca di qualcosa che rimanga nella memoria: occasione quindi per l’asfittico mercato discografico di offrire prodotti che possano intrigare la platea dei (pochi) compratori di musica. Tante le uscite a ridosso dei giorni di festa: molte compilation e sempre più coraggiose raccolte di inediti, con il rischio del flop dietro l’angolo. Lasciamo perdere Laura Pausini e Tiziano Ferro, fenomeni più per capacità di marketing che per vera e propria storia musicale, meritano attenzione le proposte nuove di zecca di Celentano, Mina e Venditti.

 

Mina si ripresenta con Piccolino, lussureggiante lavoro, elegantemente arrangiato senza ridondanze, giusto per esaltare una prova decisamente maiuscola nelle evoluzioni canore dell’immensa interprete che si conferma, per l’ennesima volta, la migliore del panorama italiano, e non solo. L’artista settantenne, che continua a non cedere a lusinghe televisive, ritrova lo smalto e la freschezza dei giorni migliori, aiutata da una scelta di brani in gran parte azzeccati, blues e ballate pop sopraffini, dramma e cabaret, derive anglofone e ritmi sudamericani, firmati da una schiera di autori famosi di recente affermazione, dimenticati dai cassetti della memoria e improvvisamente ripescati. Un album che piacerà anche ai più giovani.

 

 

Lo stesso entusiasmo non possiamo riporlo in Unica, il nuovo cd di Antonello Venditti, che continua a proporre prodotti anonimi, mai all’altezza dei suoi lavori migliori, che rimangono relegati agli anni 70. Al cantautore romano, titolare di una voce passionale e appassionata, non basta l’alibi della sensibilità ai temi sociali o a una sincera ricerca di spiritualità, nel segno di un cristianesimo sociale che si mischia ai messaggi dell’antico socialismo marxista; le sue nuove canzoni rimangono a un livello compositivo mediocre, sostenute da un tappeto di arrangiamenti piatto e scontato (che dire dell’ormai tradizionale e piuttosto scontato intervento finale del sax di Gato Barbieri?). Canzoni d’amore “stile Moccia”, un sincero bozzetto sul dramma degli immigrati sulle “carrette del mare”, una dedica canora a Santa Cecilia, un inno ideologicamente sproporzionato sulla protesta degli studenti universitari anti-Gelmini e un ennesimo brano satirico sulla vicenda umana e politica di Berlusconi (tra l’altro con un sapore un po’ anacronistico). Caro Antonello, ci sei simpatico, per ragioni che riguardano la tua umanità e godiamo ancora della tua produzione cantautorale dei 70, ma ora facciamo fatica ad ascoltare per intero un tuo album. Scusaci.

 

 

Chi invece, questa volta ci convince, è il mitico Adriano Celentano, che licenzia un album finalmente divertente, in cui alterna sapientemente brani “old-style” , nella pura e classica ballata pop all’italiana della quale è inarrivabile interprete, con gli inevitabili brani a “rischio sermone”, proposti, fortunatamente, con leggerezza e ottimi arrangiamenti caldi e profondi. Titolo: Facciamo finta che sia vero. Il pool che aiuta l’ex Molleggiato ad arrivare fino in fondo con soddisfazione vede schierati Lorenzo Jovanotti, Franco Battiato, Manu Chao, Nicola Piovani, Giuliano Sangiorgi, Raphael Gualazzi: una squadra che garantisce varietà e sicurezza a un Celentano che ritrova una voce divertita e convinta. Unica pecca, l’ultima canzone, completamente lasciata all’estro compositivo di Adriano, che ne approfitta per ammanirci il ritorno del Celentano “predicatore”, dall’alto del suo conto in banca, con il consunto vestito di Joan Lui. Qualcuno gli dica che di Gaber ne è nato uno solo.  

 

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