Mi volevano staccare la spina, ma io ero viva. Angèle Lieby racconta la sua storia: «La vita è dono» [link url=https://www.tempi.it/mi-volevano-staccare-la-spina-ma-io-ero-viva-angele-lieby-racconta-la-sua-storia-la-vita-e-dono#.UnfNjpRYTt4]Video[/link]

Di Redazione
04 Novembre 2013
«Sono l'unica donna al mondo che ha potuto leggere il preventivo del suo funerale». Per la prima volta in Italia, la donna ha narrato la sua incredibile vicenda in tv

Angèle Lieby, per la prima volta in Italia, ha narrato la sua incredibile vicenda domenica alla trasmissione A sua immagine, andata in onda su Rai Uno (in pagina trovate il video). Come vi avevamo già raccontato, Angèle è stata salvata da una lacrima (è anche il titolo del suo libro edito da San Paolo, Una lacrima mi ha salvato, che in Francia ha già venduto più di 200 mila copie). La sua vicenda è quella di una persona che, solo grazie a una casuale lacrima, ha scampato la morte, ma è anche una forte denuncia della nostra cultura occidentale, spesso troppo frettolosa nel “liquidare” quelle vite che non si ritengono meritevoli di cure.
«Sono l’unica donna al mondo che ha potuto leggere il preventivo del suo funerale», ha scherzato Angèle durante la trasmissione. Ma ha anche aggiunto che ciò che la ha salvata è stata certamente la sua volontà di vivere, ma anche l’amore dei suoi cari e la sua fede: «Ho pregato molto», ha spiegato.
Cosa insegna il suo caso? «Spero sia pedagogico», ha detto Angèle, che ha aggiunto di aver voluto scrivere il libro «perché queste cose non succedano più. Non voglio tenermi tutto per me». Angèle vuole diventare la testimone delle “statue viventi” che sono negli ospedali e non possono farsi sentire. «Vivete a fondo la vita» è il suo messaggio: «La vita è un grandissimo dono».

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Qui di seguito ripubblichiamo l’articolo sulla sua vicenda:

Salvata da una lacrima. È l’incredibile storia di Angèle Lieby, una donna francese che è uscita dallo stato vegetativo nel quale si trovava e che in un libro (che in Francia ha già venduto 200 mila copie) racconta la sua vicenda, puntando il dito contro quei medici che ormai la davano per spacciata, trattandola come un oggetto meritevole solo di una “dignitosa” fine.

SENTIRE NEL BUIO. La storia di Angèle, 57 anni, operaia, inizia il 13 luglio 2009. Come racconta nel video che vedete in pagina, sente una forte emicrania. Si reca all’ospedale di Strasburgo, ne discute con i medici che «non capiscono nulla». Non si sente bene, inizia a parlare con difficoltà, fatica a respirare, perde conoscenza. Una diagnosi sciagurata porta i dottori a decidere di intubarla e lasciarla cadere in coma farmacologico. Un coma dal quale, apparentemente, Angèle non si risveglierà mai più. La donna è ormai un vegetale, per la disperazione dei parenti, il marito Ray e la figlia Cathy, già madre di due bambine.
Ma questo è solo ciò che si vede. In realtà, Angèle sente tutto, sebbene – come racconta oggi – non riesca a vedere nulla. Intorno a lei è solo nero. È solo buio. Raccontando quei giorni, in cui attorno al suo capezzale si riuniscono i cari e i medici, scrive nel libro: «Devo sentire tutto per capire cosa succede». Capisce di essere attaccata a una macchina, intuisce di essere alimentata da un sondino. Soprattutto comprende che i medici la danno per spacciata. Dopo tre giorni di coma in cui il suo corpo subisce continui peggioramenti, il 17 luglio un medico – che lei ironicamente soprannomina “dottor Sensibilità” – consiglia al marito di prenotarle un posto al camposanto e di iniziare a contattare le pompe funebri. È meglio intendersi per tempo sulle misure della bara.
Angèla sente tutto. Cerca di urlare, ma la sua è una voce muta. Si accorge che il marito le tiene la mano, ma non ha forza per fare alcun cenno. Si accorge e prova dolore quando i dottori le pinzano un seno, ma non può farlo intendere a chi “sta fuori”. Dice nel libro: «Quello che provo non corrisponde a ciò che trasmetto».

IL PADRE NOSTRO E LA LACRIMA. I medici si fanno sempre più insistenti col marito. Ormai la situazione è disperata, “occorre staccare la spina”. Un consiglio cui Ray si oppone («non accetteremo mai»), mentre Angèle recita il Padre Nostro.
Il 25 luglio, anniversario del suo matrimonio, entra nella sua stanza Cathy che le rivela di aspettare il terzo figlio e che desidererebbe tanto che la nonna potesse almeno vederlo. È a quel punto che accade l’inaspettato. Dagli occhi di Angèle sgorga una lacrima. Una sola lacrima che consente alla figlia di avvertire i dottori. Poi il movimento di un mignolo. In quel corpo imbalsamato c’è vita.

PRIMO GIORNO DI PRIMAVERA. Da quel momento, Angèle “rinasce”. Studi più approfonditi su quel corpo, che fino a pochi istanti prima appariva solo come un cadavere, rivelano che soffre della sindrome di Bickerstaff. La rieducazione, il periodo che la porta fino alla completa guarigione, è lungo e faticoso. Il marito la assiste con costanza, annotando su un quaderno i progressi. Intanto lei impara lentamente a far comprendere i suoi sentimenti; una pallina regalatale dal coniuge l’aiuta a riacquistare la mobilità degli arti.
Il 14 agosto, per la prima volta, esce dal letto. Lenti progressi le consentono di diventare sempre più indipendente dai macchinari: reimpara a parlare, a deglutire, a relazionarsi con gli altri.
Il 30 gennaio 2010 è a casa.
Il 20 marzo, primo giorno di primavera, esce all’aria aperta.

IL MIO GIOIELLO. Oggi, grazie all’aiuto del giornalista Hervé de Chalendar, ha raccontato la sua storia che può essere letta anche nel volume di fresca pubblicazione Una lacrima mi ha salvato (San Paolo, 168 pagine, 14,90 euro). Un libro nel quale Angèle, parlando della sua «piccola esperienza», mette in guardia coloro che spesso troppo frettolosamente vedono in certi malati solo “vegetali” e non “esseri umani”: «Una persona può essere perfettamente cosciente anche se all’apparenza sembra in coma irreversibile».
La sua vicenda le ha insegnato che «bisogna saper superare le proprie sofferenze e avere fiducia nella vita. Se oggi mi sento più fragile del solito, domani posso avere la fede di riuscire a superare le montagne».
Ha solo un rimpianto: non avere potuto trattenere “quella” lacrima: «Avrei voluto poterla tenere per sempre, conservarla in una scatola come un gioiello e poterla ammirare di tanto in tanto».
Emanuele Boffi

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4 commenti

  1. giuliano

    povera Eluana Englaro, chissà cosa provava mentre i vermi rossi la stavano assassinando per fame e sete

  2. Luca

    Si ma oltre che alla Bonino, fatelo leggere anche ai medici frettolosi, sia di emettere sentenze di morte vedi, caso signora anziana che chiama 118, e va in coma arrivano, sfondano la porta lei è distesa a terra subito referto di morte, lasciano un poliziotto di guardia e chiamano le pompe funebri, nell’attesa il povero poliziotto vede un arto che si muove, chiama di nuovo il 118 arriva un altro medico la signora è viva, la portano in ospedale dopo alcuni giorni muore, forse se ci arrivava alcune ore prima si salvava e comunque certi medici andrebbero declassati ad infermieri, non puoi decretare la morte di una persona con faciloneria.
    Inoltre lo dovrebbero leggere quelli che hanno una fretta pazzesca di espiantare gli organi.
    Ospedale di Cagliari, i medici ai familiari ormai non c’è più nulla da fare, se non siete contrari si potrebbero salvare altre vite, basta una firma di generosità e il vostro amato vivrà in altra corpi, firmano. Poi c’è da attendere 6 ore come stabilito dalla legge, 4 ore prima del momento fatale, arrivano segnali di vita, appena 4 ore prima di un possibile omicidio legalizzato, ma siamo così sicuri che non si poteva svegliare anche 4 ore dopo il termine stabilito dalla legge?
    A mio parere non c’è affatto nessuna sicurezza, ma è soltanto un fatto di probabilità minime, a mio avviso quelle probabilità minime sono molto, ma molto maggiori di quelle che aveva Eulana Englaro di risvegliarsi, ma Eulana non era ormai più un donatore possibile.

  3. francesco taddei

    dovreste far leggere questa testimonianza alle varie bonino italiane.

    1. mike

      io vorrei sapere che ne pensa o che ne ha casomai detto hollande. in francia mi pare che l’eutanasia non sia selvaggia come in olanda e belgio, però tanto vorranno farla. per cui mi piacerebbe sapere che pensa l’attuale presidente francese del caso di angèle lieby.

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