Meeting, un evento popolare che ci salva dall’indignazione perenne
Esistono naturalmente posti graziosi e, in un certo senso, graziati da questo destino di infelicità. In genere, esistono là dove un genio umano si ponga e interpelli con la sua faccia da “salvato”, come direbbe Nietzsche, i propri simili. Salvato. O perché ha il dono di vivere e comunicare un pregiudizio positivo sulla realtà (il caso di grandi donne o del femminile autentico). O perché dotato di un’intelligenza che ha il potere di suscitare stupore e ammirazione per il mistero della vita (in questo noi stimiamo personalità come Giuliano Ferrara).
Ecco, in questo solco stanno fenomeni geniali e perciò popolari come quello del Meeting di Rimini. Momento aggregativo di centinaia di migliaia di persone, esso ha il tratto inconfondibile di non conoscere lividezza, né livore, né risentimento. Non solo. Chiunque vi abbia partecipato anche da posizioni completamente digiune o distanti dal cristianesimo, ne ha parlato come di un fenomeno riscontrabile umanamente come “buono”. Naturalmente (cioè razionalmente), volendo approfondire per rendere giustizia al vero e trarne utilità per la propria vita, ci si dovrebbe mettere nelle condizioni di esaminare lealmente da dove scaturisce questa vita “buona” e che pure si tramanda di generazione in generazione, nonostante gli evidenti difetti, incoerenze e limiti insiti ogni vicenda umana. Ma quale sarebbe il primo passo di questo approfondimento, di questa conoscenza? Sarebbe stare alla presenza, convivere, con ciò che dice di sé questa vicenda umana. Cosa dice di sé? Dice che non si tratta di una comunità di persone fuori dal comune. Ma di una comunità di persone assolutamente comuni che “è la portatrice storica dello sguardo plenario di Cristo sul mondo”.
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