
Mattia Feltri: Te Deum laudamus per le domande di mia figlia

Come da tradizione, anche nel 2014 l’ultimo numero del settimanale Tempi è interamente dedicato ai “Te Deum”, i ringraziamenti per l’anno appena trascorso firmati da diverse personalità del panorama sociale, culturale e civile italiano e non solo. Nella rivista che resterà in edicola per due settimane a partire dal 31 dicembre, troverete, tra gli altri, i contributi di Angelo Scola, Asia Bibi, Louis Raphaël I Sako, Fausto Bertinotti, Luigi Amicone, Renato Farina, Fred Perri, Aldo Trento, Pippo Corigliano, Annalisa Teggi, Alessandra Kustermann, Mario Tuti.
Pubblichiamo qui il “Te Deum” di Mattia Feltri.
Non so che scrivere. Sono a casa. Piove. Sono al tavolo della sala davanti al computer e tamburello le dita. Benedetta, otto anni, guarda un documentario sui leoni. Crede fermamente nella mia sapienza universale e mi chiede se i leoni mangino anche la pelle della gazzella e perché i leoni maschi abbiano la criniera e le leonesse no. Non do risposte che non conosco, tanto un giorno o l’altro sarò come tutti i genitori di figli cresciuti: una delusione. Meglio che si abitui da subito all’idea della mia fallibilità. Le ho chiesto come va. Meglio, ha detto, e poi: ti ricordi dell’anno scorso? Mi ero ammalato in stile Dickens, la vigilia di Natale. Avevo contratto una rara infezione da streptococco e mi si era gonfiata e deformata la faccia e la mattina che stavo andando in ospedale, con quel muso irriconoscibile, Benedetta mi aveva guardato smarrita e non aveva detto nulla, e mi era parso di leggere in quel silenzio l’orrore per l’impatto con l’imponderabile. Ma forse mi ero fatto un viaggio tutto mio. A Natale ero rimasto a letto con la febbre alta e a Capodanno ero ricoverato, e al ritorno avevo le guance e la fronte ricoperte di croste e Benedetta me le aveva accarezzate e mi aveva raccontato come erano andate le feste perché, aveva detto, erano le sue prime feste senza di me.
Oggi ha acceso le luci dell’albero di Natale perché è malata. Sennò di giorno non le accende: dice che si consumano inutilmente. Ha l’angoscia che le luci si spengano sul più bello. Mi ha chiesto: quanto durano le luci? Ho detto: non lo so. Le luci durano un po’, e poi si spengono, qualche volta danno un segnale, illuminano meno, si fermano qualche secondo, oppure si spengono di colpo e fine. E le ho detto: accendile le luci, se ti fanno stare meglio. Delle cose belle bisogna godere finché ci sono. E poi, ho concluso, se le luci si spengono possiamo sempre comprarne di nuove e lei non era convinta: mi piacciono queste, ha detto, e poi sono sicura che si spegneranno il giorno di Natale, quando i negozi sono chiusi e non c’è più niente da fare.
In ospedale il medico mi somministrava antibiotici nella speranza di trovare al più presto quello adatto. Gli ho raccontato che lo streptococco beta emolitico di gruppo A, che provoca febbri reumatiche, lo avevo già contratto da bambino, e mi ebbe dai cinque agli otto anni. È una malattia maledetta perché, a parte la febbre – o l’eccezione della faccia esplosa un anno fa – il più delle volte è asintomatica. Attacca i reni e il cuore e il resto. Massimo Troisi ne è morto. Mia madre mi raccontò tutto molti anni più tardi, quando andavo a trovarla dopo che l’avevano operata per un cancro. Era un cancro straordinariamente esteso ma per fortuna era benigno, sebbene la stesse soffocando. Credo che mia madre sia l’unica donna del mondo occidentale che ha rischiato di morire per un cancro benigno. Mi raccontava di me perché non lo aveva mai fatto e le sembrò il modo di festeggiare un altro scampato pericolo. Io poi ricordavo poco: la festa di quando andavo ai prelievi del sangue perché poi avrei fatto colazione al bar col cappuccino e la brioche, gli amici del reparto pediatrico nei mesi di ricovero, mio padre che mi portò in braccio all’esame di seconda elementare.
Bernoccoli e mal di stomaco
Per anni girammo da uno specialista all’altro e non so dire il capolavoro dei miei, perché tutto quello che mi resta è il loro sorriso incredulo all’ultimo giro. Mia madre, in quei pomeriggi di degenza, rideva ancora perché i medici, che pochi mesi prima scuotevano il capo a occhi bassi, ora dicevano che no, non poteva essere stata l’omeopatia, è scientificamente impossibile. Ogni tanto penso a Troisi, se avesse incontrato il mio omeopata. Un anno fa il primario, dopo il secondo antibiotico andato a vuoto, scherzando mi ha chiesto: ce l’ha ancora il numero di quell’omeopata? No, ho risposto, è morto di cancro.
È influenza: dà problemi di stomaco e mal di testa. Benedetta fino a stamattina piangeva dal dolore e diceva di avere male alla fronte, in corrispondenza di due piccoli bernoccoli che le ho toccato con mano ferma. La guardavo, la mano, e mi chiedevo perché non tremasse quando tremava tutto il resto. Lo so, sono un fifone. Meglio fifone che distratto, ha detto il pediatra. Comunque: i riflessi sono perfetti, nessun problema neurologico e i bernoccoli effettivamente ci sono, qualche volta succede che non vadano più via. Ma sono piccoli e, appunto, niente più che bernoccoli. L’ha visitata sul tavolo su cui sto scrivendo. Mi è venuto un ricordo malinconico quando, col martelletto di gomma, le ha saggiato i riflessi del ginocchio, come facevano a me da bambino, ed era un gioco divertente. Mi davano un colpetto sul ginocchio e quello scattava, me lo davano sull’altro e niente, allora io ridevo e rideva anche la mamma. Bè, che fuoriclasse la mamma. Poi il pediatra se n’è andato, e Benedetta ha acceso l’albero e si è messa sul divano. Io qui, a tamburellare le dita. Mi ha chiesto: che devi scrivere, babbo? Devo scrivere un ringraziamento a Dio, ma non saprei. Io, mi ha detto, lo ringrazierei perché le lucine non si sono ancora spente.
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2 commenti
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Non so se mio padre sia l’unico uomo del mondo occidentale che, invece, a causa di un cancro benigno ci è morto.
Ps: e comunque anche io sono una fifona quando si tratta della salute delle persone a cui voglio bene.
Ci sarebbe da affidarsi di più al Tizio del piano di sopra… 😉
Articolo stupendo: grazie!