Matarazzo (Gesuiti): «La sfida di oggi sta nel saper riconoscere la presenza di Dio»

Di Benedetta Frigerio
24 Agosto 2014
Intervista al nuovo superiore dei Gesuiti d’Italia. Le sue origini, papa Francesco e le nuove sfide per i credenti. «Dobbiamo tutti ripartire dalla cura della persona, dentro una vita in comunione»

gianfranco matarazzo

Gianfranco Matarazzo, 50 anni, casertano, dal 31 luglio superiore dei Gesuiti d’Italia, è la guida dell’ordine nella provincia italiana e in quella albanese. Formalmente, è a lui che il gesuita papa Francesco deve rispondere. Lui, ovviamente, un po’ si schermisce: «Il Papa agisce in continuità con la missione dei suoi predecessori: la cura di ogni anima in cui il Signore agisce in maniera sempre generosa. La sfida allora sta solo nel saper riconoscere questa presenza».

Lei è cresciuto in un contesto di credenti non praticanti e sia al liceo sia all’università ha avuto molti maestri atei. Come ha capito che la Chiesa poteva rispondere all’uomo? E cosa l’ha convinta a seguirla?
Il contesto della fede non praticata della mia famiglia era dovuto prevalentemente a una questione logistica: vivevamo in una zona isolata, abbastanza distante dal centro urbano più vicino. Ma questa condizione ha reso ancor più importante la testimonianza di fede omogenea che ho ricevuto da chi mi circondava, a partire dai miei genitori. Infatti, il cristianesimo, pur non praticato in maniera adeguata, è sempre stato un punto fermo. Inoltre, le sollecitazioni ricevute dai non credenti che ho poi incontrato sulla mia strada, quasi sempre persone preparate e rigorose, ha accentuato ancora di più lo stupore per il dono della fede ricevuto, conservandolo e addirittura rilanciandolo. Il riferimento alla pratica religiosa non regolare e alle sfide ricevute da ambienti non credenti hanno avuto l’effetto sorprendente di accrescere la mia esperienza di fede, anziché indebolirla. Fin da piccolo sapevo che la Chiesa poteva rispondere al mio desiderio di vivere una vita felice, mentre i tanti incontri successivi e il servizio ordinario ecclesiale mi hanno permesso di approfondire sempre più il dono della fede.

A trent’anni ha cominciato il noviziato abbandonando la carriera d’avvocato. Perché seguire i gesuiti e lasciare tutto?
In realtà, già adolescente sentii la chiamata a discernere approfonditamente la vocazione che mi veniva proposta. Ero molto appassionato del mio cammino come giurista e raccoglievo anche dei riscontri sempre più adeguati. Eppure percepivo che c’era un di più (il magis) verso cui mi sentivo chiamato; mi riferisco al rapporto personale con il Signore, al servizio al prossimo in forme nuove e all’entrare in una prospettiva di gratuità, di disinteresse. Incontrandoli durante gli studi universitari ho poi seguito i gesuiti, conquistato dalla loro disponibilità, dal servizio delle confessioni, dall’attenzione alla persona (cura personalis) e dal loro rapporto con la Chiesa. Pian piano sono andato all’origine di tutto questo, risalendo al cuore del carisma che lo generava. A quel punto riconobbi che il Signore mi chiamava su quella strada. Cosa ho in più rispetto a prima? Sto rispondendo a una chiamata personale del Signore e quando si risponde a Lui ci si sente realizzati nella concretezza della vita quotidiana, con le sue gioie e anche le sue tante difficoltà.

L’ordine dei gesuiti nasce all’inizio del Cinquecento con l’obiettivo di formare una milizia per il Santo Padre. Come ci si sente a guidarlo in un momento il cui il vostro carisma è impresso nel Dna del capo della Chiesa?
L’ordine dei gesuiti è spesso identificato con l’immagine della milizia. In realtà, nasce con il fine della cura delle anime, quindi della persona, che mi sembra un’immagine più bella ed efficace rispetto ad altre. È stato proprio questo aspetto a conquistarmi e a orientare la mia vocazione. Credo che l’attenzione alla persona, la sua cura, la possibilità di attuarla, a partire dai tanti carismi che scaturiscono nell’alveo della Chiesa, sia il servizio evangelico a cui siamo chiamati oggi. E papa Francesco, in continuità con i predecessori, si stia muovendo proprio in questa prospettiva.

Papa Francesco ha un carisma che sorprende e lo rendono irriducibile a ogni schieramento. Molti legano questo suo atteggiamento al suo essere gesuita. È così?
La logica degli schieramenti non è adeguata per descrivere papa Francesco, così come si è dimostrata inadeguata per comprendere i suoi predecessori, a partire da Benedetto XVI. Il bisogno mediatico di ricondurre a schieramenti di questo tipo, a risolvere il susseguirsi dei pontefici nella logica della contrapposizione tra gli stessi, non conduce lontano. In realtà c’è continuità fra i papati e certamente un arricchimento messo a disposizione proprio dal carisma di ogni pontefice.

Il vostro carisma vi porta ad annunciare Cristo a ogni uomo, senza dimenticare il suo insegnamento. Molti, però, sostengono che basti l’abbraccio del buon pastore, contrapponendolo all’insegnamento di Gesù.
Anche in questo caso, la logica della contrapposizione tra l’approccio del buon pastore e quello dell’insegnamento dottrinale non mi sembra trovare riscontro nella storia della Chiesa, neanche in quella recente. Riconosco che, a livello mediatico, c’è questa chiave di lettura e nel dibattito tra credenti, specie sui social network, si insinua a volte ambiguamente questa logica riduttiva. In realtà, la comunità cristiana è complessivamente animata da uno stile che sa coniugare i due aspetti in questione. Il tema della Nuova evangelizzazione, dell’Iniziazione cristiana, del Primo Annuncio della fede, tanto per fare un esempio, è stato fatto e viene fatto da Pontefici che hanno curato con altrettanta attenzione l’insegnamento e mi sembra che ci siano riusciti. In questo scenario ricco e cattolico i gesuiti cercano di offrire il loro apporto, in particolare puntando sulla persona e sul suo sviluppo integrale. Perché il Signore agisce nella vita dell’uomo in maniera sempre generosa. La sfida allora sta nel saper riconoscere questa presenza, nel saperla discernere e nel vederla agire.

Lei ha letto la biografia di don Luigi Giussani. Quale apporto può dare oggi il carisma di Comunione e Liberazione in un mondo che ha perso il gusto per l’uso della ragione e del cuore inteso in senso biblico?
Il carisma di Cl, proprio per come si è delineato e per come è stato riconosciuto dalla Chiesa, può offrire un servizio importante di formazione e di orientamento a una parte significativa della società e non solo nella sua componente giovanile. In particolare, sulla scia della tradizione già consolidata, può aiutare a riscoprire una fede nuovamente pervasiva di tutti gli ambiti della vita e può aiutare a farlo specialmente all’interno degli ambiti educativi, oggi così decisivi e delicati, come quelli formativi.

Giussani parlava della comunione fraterna come forma di appartenenza a Cristo. Sant’Ignazio metteva al centro del suo apostolato l’amicizia (“Compagnia di Gesù”). Si può dire che in questo il vostro carisma e quello di Cl si somigliano?
Questi due carismi, insieme a tanti altri, mettono certamente in evidenza modi complementari di esprimere l’appartenenza ecclesiale e la comunione.

Anche papa Francesco come i suoi due predecessori condanna spesso l’individualismo. Come pensate si possa vincere la solitudine moderna propagandata da un potere così pervasivo?
La critica all’individualismo del Papa è una critica costruttiva. Lui stesso indica la via per vincere la solitudine, ricordando all’uomo e alla donna di oggi la bellezza della vita comunionale e il fatto che vivendola ci si può realizzare pienamente. La prospettiva individualistica, invece, non realizza l’uomo. Questo è davvero fondamentale oggi, far riscoprire alla persona questa vita comunionale di cui tutti abbiamo nostalgia.

@frigeriobenedet

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