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Il martirio di Andrea Taegon, primo sacerdote coreano. Viaggiò cinquemila chilometri per diventare missionario

A lui venne affidata la comunità di Shanghai. Da lì individuava i percorsi che i missionari dovevano fare per entrare in Corea. Quando fu scoperto, venne decapitato

Cristian Martini Grimaldi
27/07/2014 - 4:00
Chiesa
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#83800066 / gettyimages.com

È stato da poco pubblicato Cristiani in Corea di Cristian Martini Grimaldi, Edizioni Messaggero Padova (112 pagine, 12 euro). Pubblichiamo di seguito il capitolo “Il primo sacerdote coreano e la guerra dell’oppio”.

«Se c’è vento significa che si avrà un buon raccolto!». A parlare è don Paolo Lee, il custode del santuario di Solmoe, il luogo di nascita di Andrea Taegon (immagine a sinistra), il primo sacerdote coreano. È qui che papa Francesco verrà a parlare ad agosto prossimo con i giovani asiatici (circa seimila), i quali avranno il grande privilegio di porre al Santo Padre delle domande e soprattutto ascoltare dalla sua voce le risposte.

Cop_Cristiani in CoreaSolmoe è al centro di una zona con una concentrazione di risaie pari solo al numero di cattolici (sono il quaranta per cento della popolazione, cioè ben quattro volte la media nazionale). Il riso viene seminato ad aprile e raccolto a ottobre, e tra ottobre e aprile si coltivano frutta e verdura in serra. Andrea Taegon è nato qui, in questa remota provincia a centinaia di chilometri a sud di Seoul. Ragazzo dall’animo inquieto non si accontentò della vita di villaggio. Giovanissimo viaggiò per cinquemila chilometri all’interno della Cina, per giungere infine a Macao nel 1837. Qui imparò il latino, il francese, il catechismo, studiò teologia e filosofia. I professori erano per lo più missionari di passaggio (le mete finali erano il Giappone, la Cina, le Filippine), soprattutto francesi, come padre Legrégeois, padre Maistre, padre Berneux.

Intanto nel paese natale aveva inizio la seconda ondata di persecuzioni contro i cristiani (detta Kihae persecution) ma la stessa Macao non era più un luogo sicuro: nel 1839 scoppiava infatti la prima delle due guerre dell’oppio. […] Allo scoppio della guerra Macao non era più un porto sicuro e Andrea dovette fuggire. Si rifugiò a Manila per ritornare di nuovo nell’enclave portoghese pochi mesi dopo, quando la situazione si andava tranquillizzando. Nel 1842 Andrea decise di tornare nel paese natale. Sulla via del ritorno passò per Nanchino dove nell’agosto di quell’anno fu testimone della storica firma del Trattato di Nanchino, che rappresentò però solo una tregua delle ostilità tra l’impero britannico e la Cina.
Se infatti gli inglesi ottennero enormi risarcimenti di guerra e la cessione di Hong Kong, nel trattato nessuna menzione veniva fatta dell’oppio, il cui commercio e uso rimaneva illegale. Da Nanchino Andrea si spostò a Shanghai dove nel 1844 venne ordinato sacerdote. Tornato in Corea si premurò di individuare i percorsi di ingresso nel paese per i missionari che avrebbero dovuto eludere le pattuglie di confine. Mentre faceva questo fu arrestato, torturato e infine decapitato presso il fiume Han vicino a Seoul.

Passeggiamo per il santuario punti da questo vento fastidiosissimo. «Non c’è mai nessuno in questo periodo, fa troppo freddo!», mi dice il parroco. E invece oggi qualcuno c’è, oltre me e Samuele (Samuele è il prete della cattedrale di Daejeon che ha vissuto a Grottaferrata per diversi anni, e che mi fa da traduttore e da guida). Lei si chiama Stella, e questo luogo, sino a tre giorni fa, non sapeva neppure che esistesse. «E che è successo tre giorni fa?», domando, ma è retorica pura. Lo sanno anche i sassi ormai che c’è stato l’annuncio ufficiale dell’arrivo del papa in Corea, anzi proprio qui il pontefice verrà a rendere omaggio al grande martire della chiesa coreana.

corea-andrea-taegonUn granello di senape
Stella è di Seoul, ha trentatré anni, è cattolica da due, ed è sposata con un pilota militare, cattolico anche lui, anzi è per sposarlo che lei si è convinta a battezzarsi. Fa la casalinga, Stella, ma non ha figli. Non è la prima donna, tutto sommato ancora giovane, che mi è capitato di incontrare che decida di restare a casa piuttosto che trovare un impiego, e non certo per carenza di occupazione (se non c’è un allarme di disoccupazione femminile, le statistiche parlano pur sempre di stipendi bassi per le donne a parità di impiego e soprattutto di costante precarietà: le donne sono state le prime a essere licenziate in massa durante le crisi economiche del 1997 e del 2008).

La storia turbolenta del recente passato coreano (basta considerare che dal 1945 al 1992 ogni governo al potere è finito o per proteste di massa o per colpi di stato: il più instabile sistema politico al mondo per quasi cinquant’anni) ha generato una forte divisione generazionale: se non è raro incontrare casalinghe anche a trent’anni, la cosa diventa rarissima invece per la generazione nata solo pochi anni prima. Se ancora pochi anni fa una divertente sit-com di successo, Queen of Housewives, raccontava la storia di una quarantenne casalinga tutta dedita al successo lavorativo del proprio marito, già oggi quel modello di donna verrebbe categoricamente rifiutato da una ventottenne.

Don Paolo invita me e Samuele a salire nel suo appartamento per un caffè. Anche lui ha studiato in Italia e come tutti i parroci che ho incontrato che parlano italiano, beve rigorosamente espresso. È una piccola e modesta stanza piena di libri, una grande scrivania e un computer. La rossa macchinetta del caffè si distingue su tutto. Padre Paolo mi fa omaggio di una statua della Madonna. Questa però non ha la classica veste azzurra con il velo a coprire i capelli, ma veste l’hanbok – l’abito tradizionale delle donne coreane, usato oggi nelle occasioni speciali: matrimoni, battesimi – e ha i capelli raccolti in uno chignon proprio come si usava una volta.

Non è solo un segno di inculturazione, c’è anche un pizzico di orgoglio nazionale: in fondo sono passati solo 16 anni da quando tre milioni e mezzo di coreani donarono al proprio governo qualcosa come 227 tonnellate di oro per arrestare la svalutazione della moneta nazionale durante la grande crisi asiatica. Quale altro popolo al mondo, in un periodo di relativo benessere e di pace, sarebbe capace di tanta abnegazione nei confronti del proprio paese?

Un paese relativamente piccolo, la Corea (se rapportato al contesto asiatico: rispetto ai paesi della zona euro sarebbe il quarto paese per popolazione, subito dopo l’Italia e prima della Spagna), ma dalla fibra durissima. E viene da pensare che solo fino al 1880 i cattolici qui erano diecimila, mentre ora sono il dieci per cento della popolazione: un granellino di senape è il più piccolo tra tutti i semi, ma se ben nutrito diviene un arbusto dai grandi rami. Sarà un caso, ma fuori spira ancora un vento molto forte: dice che è il segno di un ottimo raccolto.

Tags: asiaCinaCristiani Perseguitatidiofilippinehong kongmacaoMadonnananchinoPapa Francesco
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