L’avanguardia dell’antiproibizionismo lanciato alla conquista e al ribaltamento delle legislazioni sulle droghe ha insediato il suo avamposto a Denver, Colorado. Venerdì 22 marzo presso l’Old Supreme Court Chambers del locale Capitol si è riunita la commissione congiunta della Camera e del Senato del Colorado per l’implementazione dell’emendamento 64, cioè della proposta di legalizzazione del consumo ricreativo di marijuana approvata dal 55 per cento dei votanti al referendum del 7 novembre scorso. In inglese la commissione si chiama Joint Committee, e mai il gioco di parole apparve più appropriato. Se non interverrà il governo federale, al più tardi all’inizio dell’anno prossimo il Colorado diventerà il primo territorio del mondo dove si potrà legalmente produrre, vendere e consumare cannabis per fini ricreativi. Lo seguirà con tutta probabilità lo stato di Washington, dove analoga proposta è stata approvata con analogo referendum. Secondo i media altri cinque stati potrebbero, se il governo federale non interverrà, seguire l’esempio di Denver e Seattle.
In Italia una proposta di legge per la legalizzazione delle droghe in generale – ma si suppone che il testo finale si limiterà alla cannabis – potrebbe essere presto presentata alla Camera dal gruppo parlamentare del Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo. Stando infatti al codice di comportamento che il Movimento ha imposto agli eletti, questi sono tenuti a presentare le proposte di legge maggiormente gradite agli utenti del sito beppegrillo.it, dove una delle richieste che raccoglie più consensi reca il titolo “Legalizziamo, tassiamo, e (con i suoi proventi) disincentiviamo l’uso e la vendita delle droghe!”. I grillini propongono di lottare contro la diffusione della droga con le entrate fiscali che allo Stato verrebbero dalla sua vendita legale. In Colorado la pensano sostanzialmente allo stesso modo: i promotori del referendum hanno formulato il testo in modo da far pensare che una parte importante delle nuove entrate fiscali generate dalla vendita della cannabis per uso ricreativo andrebbe a finanziare il programma Building Excellent Schools Today che promuove il rinnovamento e la costruzione di edifici scolastici, oggi a rischio per i tagli al bilancio statale. Attualmente i vari livelli di governo del Colorado incassano già 5,4 milioni di dollari di entrate fiscali dall’industria della marijuana terapeutica, essendo il loro uno dei 19 stati degli Usa dove la produzione e il consumo di cannabis per uso terapeutico sono permessi. Secondo i fautori del referendum la legalizzazione totale porterà 46 milioni di dollari di nuove risorse a disposizione degli enti pubblici, e di questi 24 andrebbero ai programmi per l’educazione. Un automatismo in realtà non esiste, e se davvero il Colorado vorrà destinare all’educazione una quota delle entrate fiscali provenienti dal mercato della cannabis, dovrà farlo con appositi provvedimenti che potrebbero richiedere pure un passaggio referendario.
Sia come sia, l’idea che facilitando l’accesso pagante alla droga si possa a medio termine ridurre il fenomeno della tossicodipendenza trova consensi di qua e di là dell’Atlantico. C’è un solo problema: l’idea non combacia con la realtà osservabile. Per rendersene conto si può prendere in mano il Rapporto mondiale sulle droghe 2012 dell’Unodc, l’ufficio delle Nazioni Unite che si occupa di droga e criminalità. Il rapporto contiene molte utili informazioni, benché necessariamente approssimative vista la materia. Appoggiandoci sull’ipotesi mediana delle varie stime, possiamo dire che sono 230 milioni, pari al 5 per cento della popolazione mondiale adulta (compresa fra i 15 e i 64 anni di età), le persone che hanno fatto ricorso a una droga illegale almeno una volta nel corso dell’anno. I tossicodipendenti veri e propri sono 27 milioni, cioè lo 0,6 per cento della popolazione. Il fenomeno appare stabile nei paesi industrializzati e in espansione nei paesi in via di sviluppo. Eroina, cocaina e altre droghe causano la morte di circa 200 mila persone all’anno. La droga illegale più consumata nel mondo è di gran lunga la cannabis, che sarebbe utilizzata da 171 milioni di persone circa, pari al 3,8 per cento della popolazione. La seguono, distanziatissimi, gli oppioidi (eroina e morfina), con 31 milioni di adepti. L’ecstasy ha raggiunto e superato la cocaina, e il suo consumo interessa lo 0,4 per cento circa della popolazione mondiale dai 15 anni in su. Il rapporto analizza poi i modelli e i fattori trainanti del “problema droga contemporaneo”, e nel farlo giustifica le politiche proibizioniste che improntano i trattati internazionali e le legislazioni nazionali in materia.
L’uso di sostanze psicoattive fa parte di tutte le culture tradizionali del mondo in ogni tempo, ma il loro consumo oggi presenta due specifiche caratteristiche: l’assunzione di droghe proibite risulta sproporzionatamente concentrata nelle classi d’età giovanili (soprattutto fra i maschi che vivono in un ambito urbano) e il catalogo delle sostanze psicotrope disponibili si espande in continuazione. Ancora al tempo del proibizionismo degli alcolici negli Stati Uniti, 80-90 anni fa, tali caratteristiche erano assenti: l’alcol era un tema intergenerazionale e le differenze fra la città e l’ambiente rurale modeste. Da notare pure che l’uso di droghe illegali appare espandersi con l’aumentare dei redditi e il progredire dell’urbanizzazione nei paesi in via di sviluppo. In un contesto così caratterizzato, le politiche proibizioniste che sono la sostanza dei trattati internazionali dimostrano di avere avuto un certo successo, perché hanno mantenuto i tassi di consumo delle droghe illegali ben al di sotto di quelli delle sostanze psicoattive permesse, come l’alcol e il tabacco.
Per esempio le stime più comuni sostengono che il consumo mensile di tabacco interessi il 25 per cento della popolazione sopra i 15 anni di età, che sarebbe dieci volte di più del tasso di prevalenza mensile dell’uso di tutte le altre sostanze vietate, il quale si attesterebbe attorno al 2,5 per cento. Poco diverso il paragone fra alcol e droghe illegali. Se si considera il tasso di prevalenza annua del consumo di alcol, che è permesso nella maggior parte dei paesi del mondo, ci si accorge che è otto volte superiore al tasso di prevalenza dell’uso di droghe illecite calcolato sullo stesso lasso di tempo: 42 per cento contro 5 per cento. Identico il rapporto fra l’alcolismo conclamato (grave ubriachezza su base settimanale) e la tossicodipendenza: il primo è otto volte più comune della seconda. Quando si considerano gli anni di vita sana perduti a causa dell’assunzione di sostanze psicotrope, sia legali che illegali, si scopre che quelle illegali sono responsabili solo del 10 per cento di tale perdita: l’altro 90 per cento è dovuto ad alcol e tabacco.
L’ampiezza dei danni causati dalle sostanze che danno assuefazione e tuttavia sono legali come alcol e tabacco dipende dal fatto che sono diffuse in tutte le fasce di età. Il danno causato alla salute dalle droghe vietate è statisticamente meno rilevante perché concentrato nelle fasce d’età giovanili (si chiama effetto contenimento generazionale). Si potrebbe dunque concludere che il sistema internazionale di repressione della produzione e vendita di droghe vietate funziona come un freno sul consumo che influenza soprattutto i comportamenti delle persone più mature di età: mentre i giovani sfidano in gran numero la legge, gli adulti si mostrano meno disponibili a perserverare in comportamenti trasgressivi. Questo sarebbe dimostrato per esempio dai modelli di consumo di alcol e tabacco: come quelli relativi alle droghe proibite, vedono l’iniziazione all’uso della sostanza nel corso dell’adolescenza o all’inizio dell’età adulta, ma mentre la percentuale dei consumatori di sostanze illegali cala drasticamente con l’avanzare dell’età, questo non avviene per alcol e tabacco, droghe legali, che continuano ad essere utilizzate da chi le aveva accostate in età giovanile.
La tesi risulta dimostrabile anche quando il raffronto non riguarda alcol e tabacco, ma sostanze psicotrope vietate nei paesi industrializzati e invece tollerate in alcune regioni del mondo in via di sviluppo. È il caso del khat, una pianta del Corno d’Africa e della penisola arabica che contiene un alcaloide classificato fra le anfetamine. In Italia e negli Stati Uniti la sua importazione è soggetta a sequestri, e il suo principio attivo, il catinone, è fuori legge. Nel Regno Unito e nei paesi che si affacciano sul Mar Rosso invece il consumo di khat è tollerato. Scopriamo così che nello Yemen la percentuale di persone sopra i 61 anni che consuma regolarmente questa anfetamina è inferiore soltanto del 13 per cento a quella prevalente nella fascia d’età fra i 21 e i 30 anni. Per avere un’idea del divario con gli alcaloidi vietati (almeno finora) in Occidente, si tenga presente che l’uso della cannabis negli Stati Uniti fra le persone sopra i 61 anni di età è inferiore del 93 per cento a quello che si registra fra chi ha dai 21 ai 30 anni. Insomma, che si tratti di alcol e tabacco o di sostanze più esotiche, concentrate in certe regioni dei paesi in via di sviluppo, l’uso di sostanze psicoattive legali tende a essere distribuito in modo più omogeneo fra le classi di età di quanto accada con l’uso di sostanze illegali.
Ne deriva che le politiche che si propongono di realizzare gli antiproibizionisti in Colorado e i grillini in Italia avranno soprattutto un risultato: aumenteranno il numero dei consumatori, in particolare nelle classi d’età successive a quelle giovanili. Benevenuti nel mondo degli sballati di ogni età.