
Macché rock e pop, avete mai ascoltato Ruthie Foster?
Il rock è morto? Ennesima diatriba tutta intellettuale tra due eminenti critici musicali. Gino Castaldo su La Repubblica del 6 Gennaio lancia il solito allarme: il rock è in silenzio, ormai non è più la colonna sonora dei grandi movimenti civili, annegato com’è sotto un fiume di produzioni pop, buone solo per le classifiche. Gli indignati di Occupy Wall Street non hanno l’imbarazzo della scelta di una canzone che racconti la loro esperienza, un proprio inno musicale, come ce l’avevano i contestatori e pacifisti degli anni 60 e 70, quando Dylan, Patty Smith, Crosby-Stills -Nash & Young, Creeedence e i Clash erano punti di riferimento, colonna sonora della realtà in movimento. Anzi il fenomeno oggi è rappresentato dalle reunion, stanchi eventi di puro marketing che non aggiungono nulla al già “dato”, mentre i nuovi protagonisti musicali sono spesso inadeguati.
Contesta questa analisi Stefano Pistolini dalla sua colonna settimanale su Il Foglio di oggi: «Uffa che noia – scrive – questa storia che il Rock sia morto! Questi critici dovrebbero uscire dalle loro gabbie mentali e ascoltare di più la musica d’oggi, suoi rituali, i suoi generi, diversi da quelli classici». Chi ha ragione? Sicuramente l’argomento è di quelli epocali: troppe le sfumature e le variabili, tanto da impedire e decifrare un giudizio definitivo e condivisibile. Nel prendere le difese di uno o dell’altro si rischia di rimanere etichettati o come nostalgici passatisti o come alternativi a tutti i costi. Ecco, etichettati, qui parte l’equivoco. La deleteria abitudine di etichettare qualunque cosa, anche le espressioni artistiche, in questo caso musicali. Rock, pop, blues, funky, etno, folk, sono tutte sigle per sintetizzare e riconoscere un movimento musicale, ma non sufficienti a spiegarlo e a comunicarlo. Istintivamente per ragioni anagrafiche, chi scrive sarebbe tentato di dar ragione a Castaldo: l’era dei sixteen e seventeen è e rimarrà insuperabile in creatività e originalità. Allo stesso tempo però l’intemerata di Pistolini sui critici musicali pigri mentalmente non è da sottovalutare.
Ma la musica è musica, è valida se testimonia un lavoro, una storia, una passione e doti tecniche naturalmente ma soprattutto se testimonia una bellezza. Il problema è come conoscere il nuovo e riuscire a riassaporare l’antico: la scomparsa del negozio specializzato (non l’anonimo e massificante “music store”), con la figura del titolare amico che ti sa consigliare non è stata compensata nel tempo dai vari iTunes, Youtube o da qualsiasi network radiofonico alla moda. Siamo in mezzo a un guado e solo la singola intraprendenza può salvarci dall’impasse dell’ascolto superficiale e omologato.
Per esempio Ruthie Foster chi la conosce? E’ una songwriter afroamericana in pista da quasi vent’anni che da qualche mese ha pubblicato un bellissimo Live at Antone’s, settanta minuti a base di gospel, funky e blues. Ancora sigle d’accordo ma il consiglio di un amico, la curiosità, la corsa verso il nostro negozio di fiducia per avere tra le mani il sospirato vinile: fino agli anni 80 ci saremmo comportati così. Oggi c’è internet e lo scarico “liquido” degli mp3, dove sta la differenza?
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