Ma i tedeschi non erano quelli ligi alle regole? Tutte le grane di Deutsche Bank
Per Deutsche Bank le grane non finiscono più: dopo il declassamento da parte dell’agenzia di rating Fitch il 7 giugno scorso, l’apertura di un’indagine da parte della procura di Colonia a carico del vicepresidente del consiglio di amministrazione e capo del settore dei servizi finanziari alle imprese Garth Ritchie per complicità in frode fiscale, la flessione del corso del titolo che in Borsa la settimana scorsa ha toccato i minimi storici, alle periodiche denunce e inchieste sulle falle della banca tedesca in materia di applicazione delle norme contro il riciclaggio del denaro sporco si è aggiunto oggi l’allarme lanciato da un audit interno che rivela come la filiale londinese della banca tedesca per anni abbia effettuato operazioni riguardanti assegni e pagamenti elettronici di altissimi importi senza i dovuti controlli. Il problema era già stato segnalato sei mesi fa, ma la banca non avrebbe provveduto a risolverlo, e forse è per questo che la notizia ora è stata filtrata alla stampa da chi, all’interno di Deutsche Bank, non vuole essere coinvolto in eventuali inchieste giudiziarie e diventare oggetto di provvedimenti.
L’audit avrebbe individuato sei “carenze di base” di cui la più grave sarebbe l’inadeguato filtro sui pagamenti con assegni da parte di industrie residenti nel paese a beneficiari all’estero. Gli assegni stanno diventando in tutto il mondo un sistema di pagamento poco praticato, ma ancora l’anno scorso le sedi operative di Deutsche Bank in Inghilterra e Irlanda hanno gestito 50 mila assegni, per lo più per pagamenti all’estero; l’anno scorso il problema ha riguardato solo 100 assegni, ma l’audit non è stato in grado di quantificare il problema negli anni precedenti.
UN PROBLEMA NON NUOVO
Non è la prima volta che Deutsche Bank non prende provvedimenti tempestivi a fronte di criticità dei suoi sistemi: audit interni del 2014 che avevano rilevato problemi di controllo dei pagamenti di alti importi e di sicurezza tecnica del sistema di pagamento SWIFT non sono mai stati pienamente soddisfatti, nonostante siano stati classificati a suo tempo come problemi F3 e F4, che indicano questioni assolutamente serie in base alla nomenclatura dell’ente di controllo tedesco delle banche, la BaFin. Fra esse, il fatto che dipendenti e dirigenti della banca siano stati soliti trasmettere materiale interno riservato attraverso Whatsapp o il loro account personale di posta elettronica.
UN CONTROLLORE DEDICATO
Le ultime grane in materia di rispetto delle regole bancarie si aggiungono a una lista di precedenti che negli anni hanno costretto la più grande banca tedesca (e fra le prime 15 al mondo) a pagare centinaia di milioni di dollari per aver violato le normative contro il riciclaggio e altre disposizioni che era tenuta a implementare, mentre continuano le inchieste giudiziarie e degli organi di controllo a suo carico. Nell’autunno scorso la BaFin ha pubblicamente rimproverato Deutsche Bank per le sue scorrettezze in materia di lotta contro il riciclaggio e ha preso l’iniziativa senza precedenti di installare presso la banca un controllore esterno per monitorare l’attuazione delle correzioni richieste. Nel febbraio scorso le competenze del controllore esterno sono state aumentate dopo la scoperta che la banca aveva lasciato passare senza controlli 160 miliardi di euro di transazioni potenzialmente sospette della filiale estone della Danske Bank. Nel 2016 era stata la volta dell’Autorità britannica per la condotta finanziaria a censurare Deutsche Bank per difetti «seri e sistemici» dei suoi controlli in materia di riciclaggio, finanziamenti al terrorismo e regimi di sanzioni, e a stabilire «misure speciali» per la supervisione della banca.
INDAGINE SU UNA TRUFFA DA 30 MILIARDI
Per quanto concerne l’indagine riguardante il vicepresidente Ritchie, si tratta dell’estensione di un’inchiesta giudiziaria già in corso da tempo, che coinvolge oltre a Deutsche Bank anche altre banche tedesche, come DZ Bank e HypoVereinsbank, e che si concentra sulle cosiddette transazioni “cum-ex”. In buona sostanza si tratta di vendite di azioni allo scoperto (prese a prestito da un soggetto investitore, vendute sul mercato e ricomprate a un prezzo più basso il giorno stesso della ripartizione dei dividendi agli azionisti) sui cui profitti tassati si possono chiedere rimborsi fiscali. Sfruttando un difetto della legge tedesca sui rimborsi fiscali, sia gli acquirenti che i venditori dei titoli potevano ottenere un rimborso fiscale sulle imposte sui profitti versate, mentre in realtà gli acquirenti non avevano pagato alcuna tassa. Gli inquirenti ipotizzano che il rimborso non dovuto venisse spartito fra i due soggetti della transazione e le banche che facilitavano l’operazione. Nella sola Germania questo genere di truffa sarebbe costata alle casse pubbliche 30 miliardi di euro.
LA SPECULAZIONE AI NOSTRI DANNI
L’inchiesta è ancora in corso e nessuna banca ha finora subito condanne penali per questo genere di frode, ma alcune di esse hanno pagato sanzioni per mettere fine alle procedure d’indagine: 19,8 milioni di euro la HypoVereinsbank e 4 milioni la Deutsche Bank in riferimento a un’inchiesta aperta dalla procura di Francoforte.
Fra il 2010 e il 1° luglio 2011 Deutsche Bank mandò in fibrillazione i mercati finanziari mondiali vendendo 7 degli 8 miliardi di euro di titoli di Stato italiani che deteneva. Alla fine di luglio ne aveva già ricomprati tre, a prezzi molto più bassi di quelli a cui li aveva venduti. L’operazione speculativa mise in difficoltà la sostenibilità del debito italiano e fece scrivere al Financial Times che i grandi investitori stavano fuggendo dall’Italia. Era invece principalmente una manovra speculativa per realizzare lauti profitti.
Foto Ansa
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