Ma come fa una coppia ad abortire un figlio per una mano deformata?

Di Benedetta Frigerio
14 Dicembre 2014
In Australia un caso limite accende la disputa sull'aborto a gravidanza avanzata. Giornalista americano racconto di sua sorella: «Non esiste trionfo senza difficoltà»

Per promuovere il diritto delle donne ad abortire anche a gravidanza avanzata, venerdì 12 dicembre il Sydney Morning Herald ha pubblicato un’intervista a una coppia australiana che ha ingaggiato una faticosa battaglia per ottenere il permesso di abortire il figlio alla 28esima settima perché aveva la mano sinistra deformata.
«Onestamente mi sono sentito molto inumano», ricorda Frank, il padre del bambino, perché «ci dicevano che la nostra unica opzione era quella di dare alla luce un bambino che non volevamo affatto dare alla luce. Ci siamo sentiti dimenticati e abbandonati per via dell’incertezza politica e giuridica della legislazione sull’aborto». Mentre la madre, Cind
y, di origine cinese, racconta: «Sono cresciuta con molte persone disabili e… c’era discriminazione. Non volevo che mio figlio fosse discriminato. Il problema è… ovvio perché si tratta delle dita e penso che il bambino avrebbe avuto una vita molto dura».

LA PERFEZIONE NON ESISTE. Ma dopo 28 settimane di gravidanza, osserva Matthew Archbold dal suo blog ospitato dal National Catholic Register, «un bambino ha il 90 per cento di possibilità di sopravvivere se curato adeguatamente», come è possibile che «per tutelare il bambino dalle discriminazioni, il bambino è stato ucciso»? Colpito dalle parole di Frank e Cindy raccolte dal quotidiano australiano, Archbold, scrittore della Cardinal Newman Society, ha deciso di rispondere raccontando la storia di sua sorella, che «è nata senza la mano sinistra, neanche con una mano deformata». Oggi, scrive il giornalista americano, ha due figli e fa l’attrice a New York. «È discriminata? Sicuro. Ma pensare che avrebbe dovuto essere uccisa è assurdo per me», così come assurdo è il «pensiero che la vita imperfetta non è degna di essere vissuta». Domanda Archbold: «Chi ha una vita perfetta? Chi conduce una vita senza peccato, senza difficoltà, senza soffrire discriminazioni? Queste cose fanno parte della vita, non sono una scusa per porvi fine». Anzi, evitando le fatiche ci si perde il meglio, perché «non c’è redenzione senza peccato né trionfo senza difficoltà né perdono senza discriminazione». 

QUELLE RESTRIZIONI ARBITRARIE. «È una storia che mi spacca il cuore», continua il giornalista. Eppure, aggiunge, in Australia si sono sollevate molte voci in difesa della coppia, e il caso è utilizzato dal fronte del dibattito pubblico favorevole all’estensione dei limiti dell’aborto legale a prescindere dalle possibilità di sopravvivenza del bambino fuori dal grembo materno. Una di queste voci è quella di Lachlan de Crespigny, professore dell’Università di Melbourne, che ha commentato la vicenda così: «Le donne hanno gli stessi diritti del resto della popolazione rispetto alla decisione di cosa fare con i loro corpi, le guardate come donne incinte, persone che non hanno alcun diritto di scegliere e che devono portare in grembo quel feto, come se fosse compito della Chiesa cattolica o del Parlamento scegliere per loro?». Ma dopo la domanda retorica, il professore ha aggiunto «qualcosa che dice molto», osserva Archbold. «Ha detto che quando l’aborto è diventato legale era chiaro che qualunque restrizione sarebbe stata arbitraria perché in nessun momento della gravidanza il feto subisce definitivamente cambiamenti rilevanti». Ma il punto è proprio questo secondo il giornalista: «Perché il bambino è umano fin dalla nascita. Nulla può cambiare questo fatto. E fino a quando non accetteremo che ogni vita umana è sacra, continueremo ad assistere alla violenza contro quella ritenuta imperfetta».

@frigeriobenedet

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8 commenti

  1. A.C.

    Sono nato con lo stesso handicap del bambino dell’articolo, nonostante a mia madre avessero detto anche di possibili problemi di cuore ed al cervello. Oggi sono laureato, lavoro e sono sposato. La vita non si misura in benessere (esperienza totalmente afffidata alla percezione di un bene effimero e labile) ma con la realzione che si genera con l’altro, anche minima (tanto dicono a riguardo Stephen Howking o la bella Susanna Campus).
    Ma senza arrivare a casi limite, chi non incontra mai difficoltà o sofferenza nella vita? Si può evitare il giudizio dagli altri se si ha un handicap o un problema?
    La risposta a come affrontare queste problematiche sicuramente non è l’aborto.
    Per me la risposta sta l’amore di chi mi sta vicino e di chi ho incontrato nella mia vita, nell’estendere quella misericordia in cui credo, a chi mi sta attorno e a volte (molto raramente) mi guarda strano. Non giudizio ma una via possibile di relazione.

  2. Cristina

    E se un giorno il figlio perfetto avesse un incidente e gli dovessero amputare una mano, che si fa? l’eutanasia invece dell’amputazione?

  3. Toni

    Dall’Australia non c’è da aspettarsi niente di buono (come dall’Olanda ed il Belgio). A che ne dicano gli amabili intellettuali tutti presi da “sensi di civiltà” “autodeterminazione” “scelte responsabili” ecc con i quali si scaldano su questo sito. L’abortire il difetoso è il frutto conseguente delle loro premesse. Gli australiani sono solo meno ipocriti di loro.

  4. ochalan

    Spero che la tragedia che sta accadendo oggi spinga gli australiani a riconsiderare il valore della vita.

  5. Mappo

    Con la stessa logica, cioè per evitare future possibili discriminazioni, si potrebbero far fuori gli zingari, ma mi sembra che qualcuno ci avesse già pensato. Quel pioniere dell’ambientalismo, dell’ecologia, della difesa dei diritti degli animali e della dieta vegetariana che risponde al nome di Adolf Hitler

  6. Leo Aletti

    La vita qualch’ella sia va sempre accolta. Questo è un caso di razzismo con consweguente omicidio.

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