
Che ci fa Luke Shaw a questo Mondiale?

L’unico modo per capire quanto è profondo un abisso è caderci dentro. Un concetto che Luke Shaw, difensore dell’Inghilterra in campo stasera contro la Francia nei quarti di finale del Mondiale in Qatar, ha appreso alle nove di sera del 15 settembre 2015, in quella che doveva essere una partita di Champions League come tante altre. PSV Eindhoven contro Manchester United. In un Philips Stadion stracolmo e assordante. Non è ancora passato un quarto d’ora che l’esterno sinistro stoppa a seguire il pallone, sguscia fra due avversari, si insinua fino al cuore dell’area biancorossa. Quello che succedere subito dopo ha i contorni sfumati dell’incubo.
La gamba rotta e la carriera spezzata
Si ricorda solo di aver visto un difensore intervenire in scivolata. E poi più niente. Solo buio. Solo dolore. Quando ha riaperto gli occhi si è messo le mani sulla coscia destra ed è rimasto immobile a guardare la sua tibia penzolare all’interno del calzettone nero. Si è rotta in due punti diversi. Ma per saperlo deve aspettare ancora qualche minuto. Mentre lui si rotola sull’erba verde, le telecamere inquadrano Hector Moreno. Ha le mani posate sulla testa e il viso stirato in un’espressione che tiene insieme paura e colpevolezza. Perché il suo intervento ha rotto una gamba, ma ha rischiato soprattutto di spezzare una carriera.
Poco dopo i medici issano Shaw sulla barella e lo portano negli spogliatoi. Luke ha paura. Da morire. Tutto quello che vuole è smettere di pensare, anestetizzare quel dolore straziante che affonda i denti nella sua carne. Così tira fuori il cellulare. Scrive a sua madre, twitta ai tifosi. Poi tutto diventa accelerato. Altri medici, altra barella, altra corsa in ospedale, altri sguardi stravolti da incrociare, altri demoni da esorcizzare. In un orario imprecisato fra la sera e la notte sente bussare alla sua porta. È Hector Moreno. All’inizio Shaw si mostra comprensivo, mormora qualcosa come «Ah, sì, puoi entrare, è tutto a posto». Poi a forza di rivedere il filmato cambia idea. «Mi infastidisce molto che l’Uefa gli abbia dato il premio come uomo della partita – confiderà al Guardian – Alcuni dicevano che era un buon takle, altri che era un brutto takle. Beh, per me è un brutto takle».
La domanda di Shaw: «Potrò tornare a giocare?»
Mentre se ne sta fermo sul letto si rigira in bocca sempre la stessa domanda. «Potrò tornare a giocare?». La risposta è così complessa che nessuno se la sente di rivelargliela. Luke finisce sotto i ferri una prima volta. E poi ancora e ancora e ancora. Fino al quarto intervento. Per mesi anche solo camminare gli costa una fatica enorme. Tanto che l’idea di riprendere a correre sembra sembra più un’utopia che una possibilità. Luke stringe i denti. Vuole tornare a essere un calciatore. Vuole tornare a essere se stesso. Qualche settimana più tardi il PSV fa visita al Manchester United per la gara di ritorno. E i tifosi olandesi stendono uno striscione con scritto: «Guarisci presto Luke Shaw». Solo che il recupero è pieno di tornanti.
La paura diventa compagna di viaggio, i dubbi cannibalizzano ogni certezza. Perché il ragazzo ha rischiato di dover subire l’amputazione della gamba. Piano piano Luke riprende ad allenarsi, ma sente che tutti lo trattano in maniera diversa rispetto a prima, come se potesse andare in frantumi anche solo con uno sguardo. Va avanti così per un anno. Poi, durante un allenamento, Ashley Young lo colpisce così forte da far scricchiolare il parastinco. Per un attimo tutti trattengono il respiro. Se ne stanno impalati sul campo a cercare di leggere l’espressione di Shaw.. Tutti tranne Young. Il ragazzo si porta le mani in faccia ed esclama: «Oh shit!». Perché non sa che quell’intervento è il miglior regalo che potesse fare all’amico.
Quel calcio di Young a Shaw
«È stata la prima volta che qualcuno mi ha dato un calcio da quando ho ricominciato ad allenarmi – ha detto l’esterno – e nessuno voleva essere il primo a farlo. Si capiva che “Youngy” si sentiva davvero male. Mi si è avvicinato e mi ha detto: “Merda amico, stai bene?”. Aveva colpito la mia gamba e mi sentivo bene. Era tutto a posto e avevo davvero bisogno di quel calcio». Nell’estate del 2016 le cose sembrano andare magicamente a posto. Perché lo United ingaggia José Mourinho, uno che fino a qualche mese prima aveva scritto la storia del Chelsea. È qualcosa che potrebbe essere interpretato come un segno del destino. Perché il padre di Luke, quindi la figura responsabile del suo avviamento al calcio, era un giocatore della Sunday League, ma soprattutto uno che aveva maturato una certa ossessione per il Chelsea.
I Blues sono un elemento familiare, un’entità stranamente rassicurante, anche se Luke cresce nel settore giovanile del Southampton. Quando Mourinho è alla guida della squadra londinese prova ad acquistare Shaw per 27 milioni di sterline. Solo che se la deve vedere con l’innamoramento dello United per il giocatore. La scintilla era scoccata qualche tempo prima, quando i Red Devils avevano giocato in casa Southampton. E avevano deciso di schierare Smalling terzino destro. Luke era stato semplicemente imprendibile. Così lo avevano acquistato senza pensarci troppo. Quando arriva a Manchester Mourinho va da Shaw e gli domanda: «Ma come mai non sei venuto da me al Chelsea?». Sembra l’inizio di un idillio, invece è solo l’alba del periodo più difficile nella vita del terzino. Il giocatore fatica a ritrovare la forma che aveva prima dell’infortunio. E il rapporto con lo Special One si sgretola quasi subito.
La rissa continua con Mou. Quattro anni dopo, il Qatar
Nel 2017, durante una partita contro l’Everton finita 1-1, Mou passa tutto il tempo a dare indicazioni a Shaw. Poi si presenta davanti alle telecamere e dice: «Lui era davanti a me e io prendevo ogni decisione per lui. Deve cambiare il suo cervello calcistico, non può continuare a giocare col mio». È l’inizio di una faida che andrà avanti per anni. Ogni volta che può José spara a zero sul terzino. Dice che è indietro rispetto ai suoi compagni per quanto riguarda «impegno, concentrazione, ambizione». lo dipinge come un ragazzo pigro e svogliato. Luke ci mette del suo. Una volta si presenta agli allenamenti in ritardo dicendo che si era addormentato e che la madre non aveva voluto svegliarlo. Per José quella giustificazione si avvicina molto a una bestemmia urlata fra le navate di una chiesa.
Così quando un giornalista gli domanda cosa dovesse fare Shaw per giocare titolare, lui risponde semplicemente con un: «Chi?». Una rissa continua che si conclusa solo qualche tempo fa, quando Mourinho ha ammesso di essere stato troppo duro con il suo giocatore. Ora a quattro anni dall’addio di José allo United, l’esterno è nel momento più importante della sua carriera. Gareth Southgate, che all’inizio lo aveva escluso, considera la sua spinta sulla sinistra imprescindibile per l’Inghilterra. Un traguardo che il ragazzo che ha rischiato di perdere una gamba non ha mai smesso di sognare.
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