Luca Rossettini, un difensore fuori dal comune

Di Daniele Guarneri
12 Febbraio 2016
È passato dalla serie C alla A una notte d’estate. Legge Marshall, ascolta “Felicità” di Lucio Dalla e quando è in ritiro preferisce la briscola in cinque alla PlayStation
Bologna's Luca Rossettini jubilates after scoring the goal during the Italian Serie A soccer match Bologna FC vs SSC Napoli at Renato Dall'Ara stadium in Bologna, Italy, 06 December 2015. ANSA/GIORGIO BENVENUTI

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – L’anno prossimo sarai il capitano della squadra. Era questa la promessa fatta a Luca, diventare capitano del club della propria città. Mica male per uno studente di Ingegneria di 22 anni. Solo che quell’estate, Andrea Mandorlini, l’allenatore che dal Padova era appena passato al Siena, gli ha stravolto tutti i piani, portandoselo in Toscana. E ci vogliono due palle grosse così per accettare la sfida: dalla C1 alla serie A, non sono in molti ad aver fatto un salto del genere. Ci viene in mente Moreno Torricelli, che negli anni Novanta passò dalla Caratese (serie D) alla Juventus di Trapattoni. E Luca Rossettini (classe 1985), come Torricelli, è personaggio fuori dagli schemi, lontano dallo star system della serie A.

Da quest’anno gioca al Bologna (dopo Siena e Cagliari) e dopo un inizio di stagione terribile per i rossoblu, con l’avvento di Roberto Donadoni in panchina la squadra sta risalendo velocemente la classifica. L’arrivo del nuovo allenatore non ha relegato Rossettini in panchina, anzi. Sei punti del Bologna portano anche la sua firma: gol vittoria contro il Genoa a Marassi e gol del momentaneo due a zero contro il Napoli al Dall’Ara. Donadoni lo ha spostato sulla fascia, lui che è cresciuto e si è fatto conoscere come un centrale di difesa ordinato ed elegante. Eppure, anche nel nuovo ruolo, il numero 13 rossoblu fa bella figura.

In ritiro preferisce «una partita a briscola in cinque» rispetto alla classica PlayStation. La sua canzone preferita è Felicità di Lucio Dalla e un libro a cui non saprebbe rinunciare e che «mi rileggo ancora ogni tanto» è Tutta la gloria del profondo di Bruce Marshall. Il suo film preferito ci dà l’idea di quanto Rossettini sia davvero un tipo fuori dal comune: 12 del regista russo Nikita Mikhalkov, «bellissimo, dovete vederlo».

[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Rossettini, quando ha capito che il calcio poteva diventare veramente la sua professione?
Quando mi è arrivata la proposta di andare a giocare a Siena in serie A, nel 2007. Erano tre stagioni che giocavo a Padova in C1, ma non mi aspettavo una chiamata del genere. Mandorlini che mi aveva allenato fino a quel momento mi ha voluto portare con sé. Quell’anno feci una stagione molto positiva e a quel punto ho capito che il calcio poteva davvero darmi da vivere.

È stato difficile accettare la proposta del Siena? Immagino che abbia comportato una certa fatica.
Certo, fatica sì, ma subordinata al fatto che stavo cercando di realizzare un sogno. C’era moltissima paura, passavo dalla serie C alla A, mi allontanavo da casa, lasciavo gli amici e l’ambiente che mi ero costruito. Il Padova mi aveva anche proposto di diventare il capitano della squadra, avevo 22 anni. Diciamo che se rimanevo a Padova sarebbe stato più semplice e sicuramente non avrei sbagliato. Invece ho deciso di giocarmi tutte le carte con giocatori di due serie superiori, una scelta che andava fatta.

E lontano da casa com’è andata?
Molto bene. Ho conosciuto due famiglie con cui sono rimasto in contatto anche adesso, amici che mi porterò dietro per il resto della vita. Per indole sono portato a tenermi le cose dentro. Però ho la fortuna di avere amici e familiari che non mi lasciano mai tranquillo, mi cercano, mi aiutano ad affrontare le cose, belle o faticose che siano. Insomma, non mi lasciano solo.

Quali sono le figure importanti della sua vita?
I miei genitori senza dubbio. E poi mia moglie Valentina. Ma voglio citare Lella, la mia insegnante di latino al liceo. Io vengo da una famiglia profondamente cattolica, sono cresciuto in questo contesto. Fin da bambino sono stato abituato a fare il segno di croce, ad andare a Messa. Certe cose che fai, col tempo possono diventare automatiche, non sai nemmeno più perché le fai. Poi succede che quando si cresce si attraversa sempre una fase di ribellione. A quel punto quelle abitudini diventano strette, vuoi scappare, lasciare tutto. Ecco, nel momento più complicato della mia crescita, il rapporto con Lella mi ha salvato. Di lei mi colpiva il modo in cui mi guardava. A Lella non importava delle cose che facevo, giuste o sbagliate che fossero. Lei aveva a cuore che io, in quel che facevo, potessi crescere e diventare un uomo. Stando con lei ho trovato le ragioni per continuare a fare quello che la mia famiglia mi aveva insegnato fino a quel momento. A Messa non andavo più solo perché era giusto farlo, ma perché ne sentivo l’esigenza, era diventato fondamentale per la mia vita di tutti i giorni.

Fa un lavoro che immagino la tenga abbastanza lontano da casa. Chi si occupa dell’educazione dei suoi figli?
In realtà ho abbastanza tempo per stare in famiglia. Certo, i classici fine settimana con mamma e papà i miei figli se li sognano da un bel po’. Però d’estate stiamo sempre insieme. E poi sono più fortunato di certi papà che tornano a casa solo per cena o addirittura dopo. Io a parte quando ho il doppio allenamento, di pomeriggio posso stare con i miei due figli e appena posso vado a prenderli a scuola. Sicuramente ora stiamo cercando di dare priorità al mio lavoro piuttosto che a quello di Valentina e per questo è lei che si occupa più di loro. Ma condivide con me tutto. Ad esempio, una cosa importante a cui siamo stati molto attenti è stata la scelta della scuola dove abbiamo iscritto i bambini. Loro passano la maggior parte del tempo lì, quindi ci teniamo che la scuola creda nei nostri valori e ci possa aiutare a crescerli. Non è un delegare il nostro compito di genitori, ma un farsi aiutare, condividere questa grande responsabilità.

Che rapporto ha con i suoi figli?
Bellissimo. Io cerco di essere il più me stesso possibile con loro e i miei genitori sono stati un grande esempio per me. Ma devo dire che spesso sono loro due a insegnarmi qualcosina. I miei figli sono come cane e gatto, hanno 5 e 3 anni, due caratteri fortissimi, cercano di prevaricare uno sull’altra. Il primo è molto geloso e la seconda, furba, ne approfitta palesemente. Credo siano cose che capitano in ogni famiglia e immagino anche che possano portare a qualche preoccupazione, soprattutto per genitori alle prime armi come noi. Capita allora che alla sera ci chiediamo le ragioni di certi comportamenti o atteggiamenti, cerchiamo di darci le risposte, ma spesso la cosa più semplice è guardarli. Saperli guardare. Qualche giorno fa siamo andati insieme a prenderli all’asilo e la maestra ci ha preso in disparte per raccontarci che nel pomeriggio, durante la ricreazione, nostro figlio l’aveva chiamata per dirle di guardare quanto era bella sua sorella mentre giocava sull’altalena. Ecco, noi ci arrovelliamo per capire perché litigano e poi capitano cose molto semplici come questa che noi non sappiamo vedere e che, per fortuna, altri ci aiutano a vedere. Fatti che ci tolgono ogni pensiero o preoccupazione di cosa fare o non fare.

Come fa una persona come lei a stare in un mondo, quello del calcio, che visto dall’esterno non sembra essere compatibile con i suoi valori?
Ci sto benissimo, sono stupito. Devo ammettere che pensavo fosse un mondo con pochi valori e la cosa, soprattutto all’inizio, mi spaventava. Invece ho potuto incontrare persone con valori importanti, che condividono una parte della mia stessa esperienza. Non sono tutte persone frivole, che pensano solo a organizzare la serata giusta con le persone giuste, a comprare macchine o andare a ballare. Questo aspetto c’è, non serve negarlo, è sotto gli occhi di tutti. Ma gente così io l’ho trovata anche in università, e mia moglie pure nell’ambiente ospedaliero. Insomma, c’è dappertutto, il calcio è un mondo come gli altri. Sicuramente più esasperato in termini di risonanza mediatica, infatti ciò che si conosce è quello che si legge e si vede in tv. Ma non è tutto. Per me è molto di più. Avevo mille preoccupazioni, come il potermi scontrare con giocatori che non la pensano come me, oppure semplicemente riuscire a trovare il tempo per andare a Messa la domenica o il sabato. Paure che si sono dissolte col tempo, basta non nascondere quello che si è, non mettersi una maschera. Non serve urlare in faccia niente a nessuno, basta essere sinceri. È così che le persone mi hanno conosciuto e apprezzato, per quello che sono davvero. È facile comportarsi così? No. Però si può.

Quindi non le capita mai di sentirsi solo, isolato?
Assolutamente no. Magari sono partito con questo atteggiamento per poi essere sempre smentito, ed è successo in ogni squadra in cui ho giocato. Le faccio un esempio. Mi è capitato di dovermi “scervellare” per trovare una Messa durante il ritiro con la squadra. Poi, arrivato in chiesa, ci trovavo sempre qualche compagno. Sono cose che fanno piacere, che mi permettono di cominciare a stare insieme a qualcuno in un modo diverso. È una “compagnia” importante.

Sabato a Roma si è svolto il Family Day in difesa del diritto dei bambini ad avere una mamma e un papà. Al di là della diatriba “andare in piazza o non andare” che ha scosso una parte del mondo cattolico, cosa pensi di questa proposta di legge che vuole equiparare le unioni omosessuali a una famiglia tradizionale e che include la stepchild adoption?
Ne parlavo pochi giorni fa con alcuni amici: per quella che è la mia esperienza, se avessi potuto (domenica Rossettini era in campo al Dall’Ara contro la Sampdoria, ndr) sarei andato anche io a Roma. Lo avrei fatto semplicemente per testimoniare, per poter dire che sono contento e convinto dell’esperienza che ho fatto di famiglia e spero possa essere quella che faranno i miei figli. È fondamentale, non solo opportuno, che i figli abbiano una mamma e un papà. Non ho nulla contro le persone omosessuali, però sono nato da mamma e papà, non vedo altri modi di nascere. E non credo sia corretto equiparare la famiglia con una unione civile.

Le è mai capitato di discutere con dei compagni che la pensano in modo diverso su questi argomenti?
Su questo disegno di legge, no. Noi in qualche modo viviamo in una sorta di bolla, e devo ammettere che mi sono interessato tardi della questione. Però è capitato su altri argomenti, ad esempio l’aborto. Discussioni nate perché qualche compagno mi chiedeva della mia famiglia, erano colpiti del nostro modo di stare insieme. Il loro era un reagire a qualcosa che vedevano, magari a cena a casa nostra piuttosto che in giro per la città. E di questo sono contento, credo sia anche questa una testimonianza di quello che siamo e di quello in cui crediamo.

Il rapporto con i soldi ha cambiato il suo modo di vivere?
Non ha cambiato quelle che sono le mie priorità o quello in cui credo. Però certe cose sono cambiate e mi rendo conto che, visto il momento storico, è una gran fortuna: riesco a fare in modo che la famiglia non debba rinunciare a nulla in modo da permettermi di lavorare al massimo delle potenzialità. Poi a essere proprio sinceri ho qualche preoccupazione in più. La carriera di un calciatore dura pochi anni e quindi devo stare attento a non buttare al vento i soldi che guadagno oggi per cercare di dare una solidità futura alla mia famiglia. Ma ripeto, la mia è una posizione assolutamente privilegiata.

È un rimpianto per lei non essere riuscito ad arrivare in una grande squadra della serie A?
No. Intanto ci spero ancora, è uno di quegli obiettivi che ti spingono a migliorarti sempre. Ma non vedo perché non possa pensare così del Bologna, in fondo stiamo crescendo velocemente, l’ambiente è sano, sto molto bene. Di quello che ho fatto sono molto contento, ho sempre fatto i passi lunghi quanto la mia gamba, quindi non rimpiango nulla. E sul futuro sono super positivo e attento.

E la Nazionale?
La speranza di tornare ad indossare la maglia azzurra non muore mai. Ripeto, uno si pone degli obiettivi che poi magari non raggiungerà mai, però sono quelli che gli permettono di migliorarsi ogni giorno. Le due presenze dell’anno scorso in questo senso mi hanno aiutato molto.

E poi c’è Conte. Quando il commissario tecnico era al Siena lei è stato uno dei protagonisti principali della cavalcata che ha riportato i toscani in serie A.
Antonio è l’uomo giusto al momento giusto. Credo che non ci sia nessuno meglio di lui. La nazionale aveva bisogno di un rilancio e lui ha carattere e personalità, si assume tutte le responsabilità, di certo non gli manca il coraggio. Gli va data fiducia perché se l’è meritata tutta. 

Foto Ansa

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