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«Lo scontro tra Grasso e Caselli risale a quando i caselliani volevano “riscrivere la storia d’Italia”»

Il procuratore capo di Torino Caselli ha chiesto al Csm di «tutelarlo» perché «offeso da Grasso». Intervista al giornalista del Foglio Giuseppe Sottile, storico cronista di giudiziaria.

Chiara Rizzo
28/03/2013 - 8:27
Interni
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C’è una frase di Piero Grasso a Piazzapulita di lunedì sera che ha dato molto fastidio a un procuratore capo di spicco in Italia: «Dico no ai processi che diventano gogne pubbliche. Ci sono stati molti processi spettacolari che hanno portato ad assoluzioni. Ma non faccio nomi, non sarebbe elegante». Il procuratore capo di Torino Giancarlo Caselli, però, si è infuriato e ha inviato immediatamente una lettera al Consiglio superiore della magistratura e chiesto l’apertura di una pratica per «essere adeguatamente tutelato», perché si è detto «offeso da Grasso» che nel suo «lunghissimo monologo» avrebbe prospettato«in maniera distorta vari fatti e circostanze afferenti la mia attività di magistrato». «Le ragioni di questi scontri sarebbero da far risalire all’archeologia giudiziaria» spiega a tempi.it il vicedirettore del Foglio Giuseppe Sottile, storico cronista di giudiziaria a Palermo per 23 anni, quando ha seguito le prime e più scottanti inchieste sulla mafia (già negli anni ’70).

Perché Caselli se l’è presa così tanto con Grasso?
Lo scontro risale agli anni caldi di Caselli alla procura di Palermo, quando cercò di imporre una linea, che i suoi sostituti procuratori definirono “la riscrittura della storia d’Italia”. Obiettivo non personalizzato da Caselli, ma da qualcuno nei suoi uffici, era il tentativo di cercare le radici criminali della prima e della seconda repubblica italiana. L’Italia nasceva secondo questa “scuola di pensiero” da un accordo con la mafia perpetrato all’inizio dalla Democrazia cristiana di Andreotti, che poi sarebbe proseguito anche con Dell’Utri. Questa è la base da cui partivano i magistrati “caselliani”: riscrivere la storia d’Italia, una cosa che è continuata sino a pochi mesi fa, con la presentazione di quel “surreale” processo che si chiama Trattativa. C’è sempre stato un nucleo di pm che hanno avuto questa voglia matta, giusta o sbagliata che sia, ciascuno lo giudichi da sé. Su questa base nasce e si sviluppa l’eterno scontro tra Grasso e questo nucleo di caselliani. Sino all’auto difesa di Grasso da Corrado Formigli si può vedere una vera linea di demarcazione: Grasso sostiene di aver seguito un’altra scuola di pensiero, quella basata sulle prove, con fatti processuali condivisi dai giudici, mentre gli altri cercavano altri nuclei processuali.

Questa differenza passerebbe anche da un uso diverso dei pentiti o delle prove?
Certo, un uso diversissimo delle prove e dei pentiti. I pm che volevano la “riscrittura”, si sono prestati più facilmente all’accusa di politicizzazione dei processi. Grasso, che ha smontato questo nucleo, è accusato di “normalizzazione”. Qui sta tutto lo scontro ideologico tra due modi di vedere le inchieste per mafia e i pentiti, e le prove. E uso il termine “riscrittura” non perché lo dica io: quando vennero pubblicati gli atti relativi all’inchiesta Andreotti furono gli stessi pm del pool Caselli a usare questo termine.

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Nella polemica con Travaglio non voglio entrare perché non è di mia competenza, ma soprattutto non me ne frega niente.

Tags: formigligiancarlo caselliGiulio AndreottimafiaMarcello Dell'UtriPiero Grassoroberto scarpinatotravaglio
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