Lo scanner, Gesù Bambino e la barbie. Mi stampo, mi guardo, mi scatto… dunque sono?

Di Marcella Manghi
21 Marzo 2014
Statuine di se stessi, stampanti 3D che sfornano pargoli, non è stiamo esagerando con queste circumnavigazioni intorno al nostro ombelico? Bisognerebbe ritornare a guardare un po' più in là del proprio naso

Lifesize-vs-Mini(1)La stagione degli uguali e anonimi soldatini di piombo è finita. A darsi ora battaglia per un posto sullo scaffale sono arrivate le statuine di se stessi: una sorta di “piccolissimo me” confezionato su misura. A realizzarlo è un’azienda tedesca, che per alzare il fatturato fa leva sul narcisismo dei consumatori. Sì, perché anche in tempo di crisi, esistono clienti che per vanità non badano a spese e corrono a farsi realizzare la propria figura a tutto tondo. Con l’avvento delle ultime stampanti tridimensionali, il processo è abbastanza semplice: dopo essersi fatti scannerizzare – proprio come si procede quando si passa al controllo bagagli in aeroporto – al costo di un volo a/r per Londra, ci si compera una bella statuina di quindici centimetri. Ma dove andrà mai a finire un souvenir siffatto, una volta recapitato a casa? Nel presepe di fine anno, nel cestone delle Barbie, o sulla pila delle fatture del gas come fermacarte?

Ora: se penso alle potenzialità sprecate delle macchine usate per la produzione, mi sale un certo rammarico. Ricercatori tedeschi, qui fuori c’è uno stuolo di massaie che sognano la stampante alimentata a getto di farina che scodelli succulenti piatti di tagliolini al tartufo! Quanto dovremo  ancora aspettare?
Anche oltreoceano le ispirazioni circa i prodotti finiti seguono ahimè la stessa strada: da ora e sullo stesso principio, le donne in dolce attesa potranno addirittura materializzare in anticipo il loro frugoletto. È ciò che ha pensato di fare in California l’azienda 3Dbabies che offre ai futuri genitori ciò che il nome promette: una sorta di piccolo Gesù Bambino stampato in tre dimensioni del proprio pargolo, plasmato a partire dall’ecografia. Sarà…

E qui arrivo a un punto che invece tocca noi tutti più da vicino: a leggere di queste novità, mi viene da pensare che il successo dei modellini sia il medesimo che sta alla base del più inflazionato selfie, l’autoscatto tanto di moda, che ha diabolicamente pervaso anche la memoria del mio cellulare. Da circa un anno, il telefono è posseduto dal mio volto come un indemoniato. A parziale discolpa, va detto che secondo una recente classifica stilata dal Time, Milano è la città con più selfie d’Italia. Sum chì, sono qui. E poi? Una quantità enorme di questi autoritratti finiscono in rete. In base a un calcolo effettuato dall’autorevole magazine The Atlantic, ogni minuto vengono caricate su Facebook 243.000 foto. Tante o poche? Giusto per fare un paragone, nel medesimo arco di tempo, la stessa ricerca stima che 83.000 persone stiano facendo l’amore. Se queste sono le proporzioni, di questo passo l’umanità si riprodurrà a colpi di pixel? Già m’immagino i titoli di Cosmoplitan della primavera 2050: “Pianeta donna – ormai è scientificamente provato: il punto .jpeG esiste eccome”.

Resta il fatto che quest’attenzione narcisistica su me stessa – “Mi stampo, mi guardo, mi scatto… dunque sono” – un po’ mi inquieta.
Talvolta vorrei fosse più facile vedere (e far vedere agli altri) un punto all’orizzonte che sia più distante del mio ombelico; qualcosa – diverso dal mio naso – su cui focalizzare me stessa. Perché al giorno d’oggi è diventato così difficile trovare qualcosa d’interessante, oltre a se stessi? O meglio, guardare la realtà con un vero sguardo d’interesse?
Meravigliarsi al reale sta diventando sempre più faticoso.
Eppure… biglietti, strade, libri, fiori, persone… immortalati in un’immagine potrebbero dire molto più di noi, rispetto al personalissimo solito specchio delle brame.
Come in una favola, sarebbe bello se da domani – nel tempo di un click – potessi annunciare: “Mi stupisco, dunque sono!”.
E chissà che un giorno, non mi si stampi dritto in testa…

@marcellamanghi

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