Liverpool a casa, Arsenal alle corde. L’Europa è sempre meno british
Le coppe europee spezzano la schiena dei club britannici. È un dato allarmante per la Premier League quello che emerge dopo queste prime due settimane di scontri diretti tra Champions ed Europa League. Gli inventori del calcio faticano e perdono pezzi, e vedono il numero delle loro squadre impegnate nelle competizioni continentali calare.
IN CHAMPIONS POSSIBILITÀ SOLO PER LO UNITED. Nella coppa con le orecchie le gare d’andata degli ottavi hanno lasciato spiragli aperti solo al Manchester United: il fortino di Ferguson ha retto bene agli attacchi dell’ex Cristiano Ronaldo nell’arena del Bernabeu, e ora si prepara in tutta tranquillità alla contro-offensiva da muovere all’Old Trafford. Situazione decisamente impensabile invece per Arsenal e Celtic, malmenate tra le mura amiche e prossime all’eliminazione per mano di Bayern e Juventus. Il ritorno lascia aperta ancora la possibilità del miracolo, ma è più realistico pensare che le avventure europee di Lennon e Wenger siano al capolinea (chissà se solo quelle europee…). Un po’ meglio va in Coppa Uefa: ai sedicesimi fuori solo il Liverpool, cui toccava l’impresa più ardua, ossia ribaltare lo 0-2 con cui lo Zenit li aveva asfaltati all’andata. Il miracolo s’è arrestato sul più bello, ossia sul 3-1, quando a Suarez e compagni mancava solo un piccolo passettino per ottenere il pass agli ottavi. Ce l’hanno fatta invece Chelsea, Newcastle e Tottenham, seppur tutte con fatica estrema. La gara interna con lo Sparta Praga rischiava di trasformarsi in una Caporetto per i Blues, gelati dalla rete al ventesimo di Lafata. Ma appena prima che l’inizio dei supplementari prolungasse le sofferenze di Stamford Bridge, c’ha pensato Hazard ad inventarsi una rete capolavoro e fare 1-1. Tutto allo scadere, come la rete apprezzatissima di Dembelé al Lione: il belga degli Spurs insaccava il gol del pareggio, vanificando l’incornata nel primo tempo di Gonalons che avrebbe mandato a casa i londinesi.
UN ANNO FA SITUAZIONE PEGGIORE. Champions nelle mani quasi solo dello United, Europa League più gentile al calcio inglese, sebbene a fronte di tanto sudore speso. Che si possa parlare di declino per il football d’Oltremanica? Ad analizzare meglio i dati delle scorse stagioni la disfatta assume colori abbastanza scuri, specie in Champions: difficile trovare negli ultimi due-tre anni un’edizione delle massime competizioni europee in cui i club di Premier abbiano dominato in blocco. 12 mesi fa il Chelsea era l’unica squadra britannica ad arrivare ai quarti di Coppa Campioni, ottenendo per altro il pass solo ai supplementari a spese del Napoli. I due Manchester erano già scivolati in Europa League, da cui venivano sbattuti fuori poche settimane dopo, non riuscendo a rimediare alle figuracce ottenute ai gironi di Champions.
5 ANNI FA 3 SEMIFINALISTE. Tutt’altro era il sapore con cui i Red Devils arrivavano in finale (perdendo) di Coppa Campioni l’anno prima: fino ai quarti con loro c’erano altre due connazionali, Chelsea e Tottenham, scenario simile a quello del 2009-10, quando 2 inglesi (Arsenal e United) s’attestavano appena prima della semifinale. Nulla in confronto a quanto accaduto l’anno prima: nel 2008-09 ben quattro erano i club di Premier ai quarti, tre in semifinale, sebbene poi la Coppa sia andata al Barcellona. E l’anno prima fu ancora meglio: due le finaliste britanniche, 3 le semifinaliste. Insomma, gli anni passano e il numero cala. E in Europa League? Tra il predominio di spagnole, portoghesi, russe e ucraine, la coppa non torna in Inghilterra dal 2001. Qualche cavalcata gloriosa ogni tanto c’è stata (il Fulham, ad esempio, nel 2010, o il Middlesbrough nel 2006) ma la vecchia Coppa Uefa non interessava le grandi squadre, bensì quei club cui interessava sfruttare al meglio un’occasione, quella di competere in Europa, che poi magari l’anno successivo non si sarebbe presentata. Così si aspetta ciò che potranno combinare le tre sopravvissute in questa edizione, prima che il calcio più antico del mondo debba assistere impassibile alla sua estromissione dal pallone europeo.
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