
La battaglia globale per il litio si combatte in Bolivia

Il deserto noto come il Salar de Uyuni, in Bolivia, più di seimila chilometri quadrati di saline, è una miniera d’oro a cielo aperto, “oro bianco” ovvero litio, un metallo alcalino su cui l’interesse e la domanda mondiale sta crescendo in maniera esponenziale dopo che le principali aziende automobilistiche hanno annunciato che smetteranno di produrre veicoli a combustione interna tra il 2025 e il 2035, per concentrarsi sull’elettrificazione totale.
Un quarto delle riserve di litio del mondo
Quella al litio è infatti la batteria più efficiente attualmente disponibile, riciclabile, e con la più alta capacità di stoccaggio di energia per unità di peso e volume. Il litio è presente nelle pegmatiti e nelle salamoie, e in misura minore nell’acqua di ritorno dai pozzi di petrolio e dai campi geotermici, e disciolta nell’acqua di mare. In salamoia, si produce per evaporazione solare e concentrazione in grandi stagni nelle saline e nei laghi salini essiccati.
Questo di tutti è il processo meno costoso e, pur essendo la sua produzione tecnologicamente complessa, tanto più che ogni salamoia è diversa nella sua composizione minerale e nelle sue proprietà fisico-chimiche, è per questo che il Salar de Uyuni è una miniera d’oro, visto che contiene un quarto delle riserve di litio conosciute al mondo.
La nazionalizzazione fallimentare
Il problema però è che, nonostante si cerchi di estrarlo dagli anni Novanta, in Bolivia se ne produce pochissimo di litio, la miseria di 600 tonnellate all’anno. il busillis è tutto politico nel paese andino, dove il governo di Evo Morales ha deciso di nazionalizzarne la produzione e quello che abbiamo davanti è un fallimento colossale, con solo un piccolo impianto pilota artigianale di una società parastatale, la Yacimientos de Litio Bolivianos, YLB, che nonostante gli sforzi e i progressi tecnici non è stata in grado di produrre litio di qualità su scala industriale da esportare al livello dei suoi vicini Argentina e Cile, che pure hanno meno riserve.
Le riserve di litio oggi scoperte nel mondo sono di 80 milioni di tonnellate, così distribuite: in testa la Bolivia con 21 milioni di tonnellate, poi l’Argentina con 17 milioni ed il Cile con 9 milioni. A seguire gli Stati Uniti con 6,8 milioni, l’Australia (6,3 milioni), la Cina (4,5), il Congo (3), la Germania (2,5), Canada e Messico con 1,7 milioni ciascuno, la Repubblica Ceca (1,3) e Mali, Russia e Serbia, con un milione di tonnellate a testa. Non a caso, la Bolivia insieme all’Argentina e al Cile, conforma il cosiddetto “Triangolo del litio”, regione dove si concentra l’85 per cento delle riserve mondiali del prezioso minerale.
La domanda di litio cresce
Molto presto l’estrazione diretta del litio dall’osmosi inversa delle salamoie sarà commercialmente fattibile ma, nell’attesa, non si capisce perché Morales abbia deciso di chiudere ai privati una quindicina di anni fa, come del resto ha fatto di recente anche il presidente del Messico, López Obrador, gettando al vento le ricche royalties degli investitori stranieri interessati al suo “oro bianco”, se non per motivazioni ideologiche. Anche perché, a livello mondiale, la domanda di litio è cresciuta del 12 per cento tra il 2016 e il 2020, ed entro il 2030, con lo stock di veicoli elettrici che dovrebbe arrivare a 244 milioni di unità, con un tasso di crescita annuale impressionante, del 38 per cento, salirà ancora.
Di fronte a questi numeri, Morales ha di recente cambiato idea sulla fallimentare nazionalizzazione e, con il chiaro intento di favorire Pechino e Mosca, lo scorso agosto ha aperto ad alcuni progetti pilota. In effetti, come scrive il New York Times «questo paese di 12 milioni di persone è potenzialmente tra i nuovi vincitori consacrati nella caccia globale alle materie prime necessarie per allontanare il mondo dal petrolio, dal gas naturale e dal carbone nella lotta contro il cambiamento climatico». Sono nove le compagnie straniere preselezionate negli ultimi mesi per avviare progetti pilota sul litio in Bolivia dal partito di governo di La Paz, il Movimento verso il Socialismo, guidato dall’ex presidente Morales. Tra queste quattro cinesi, due statunitensi e una russa.
Sul litio decide Morales. Sarà made in China
Anche se l’attuale presidente è Luis Arce, già ministro dell’Economia di Morales, chi decide sul litio è Evo, che deve affrontare le sfide dei movimenti locali che si oppongono al suo dominio socialista e alle sue scelte su come far rendere l’oro bianco. Un grosso problema, basti pensare che solo due anni fa un accordo sul litio tra Morales e una società tedesca aveva scatenato proteste in tutto il paese e Morales fu costretto a rottamare il contratto appena una settimana prima di fuggire dal paese. Ora è tornato e vuole fare affari con Pechino sul litio, o con Mosca, suoi alleati geopolitici, più che con Washington.
Certo è che un grande aumento della produzione boliviana di litio manterrebbe bassi i prezzi delle batterie, aiutando il presidente statunitense Joe Biden a raggiungere il suo obiettivo di elettrificare la metà di tutti i nuovi veicoli venduti nel paese entro il 2030 (oggi sono appena il 4 per cento). Ma, se mai Morales riuscirà a fare partire finalmente la produzione di litio nel suo paese, quasi certamente sarà “made in China”. Anche perché, come ha detto Robert Mintak, amministratore delegato di Standard Lithium, «la Bolivia è un paese senza sbocchi sul mare, senza infrastrutture, senza forza lavoro, con rischi politici e senza protezione della proprietà intellettuale. Quindi, come sviluppatore, sceglierei un posto più sicuro».
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