Libia: va data una chance al negoziato. E l’Italia deve guidarlo

Di Rodolfo Casadei
22 Marzo 2011
I paesi occidentali e il resto della comunità internazionale, dopo aver appoggiato Gheddafi fino a ieri, hanno deciso di cavalcare l'onda dei moti arabi. L'Italia doveva entrare in guerra e così sta cercando di recuperare qualcosa di tutto ciò che dal punto di vista diplomatico ed economico ha ormai perduto. La risoluzione 1973 parla di proteggere i civili: se il "cessate il fuoco" è reale, bisogna provare a trattare. E l'Italia deve guidare le operazioni

Protezione delle popolazioni civili contro la brutalità del regime? Difesa dei diritti umani dei libici violati da Gheddafi? Per favore, non prendiamoci in giro e diciamo le cose come stanno. La verità è che i paesi occidentali e, con molte doppiezze e paraculismi, il resto della comunità internazionale, hanno deciso di cavalcare l’onda dei moti arabi. Di favorire i cambiamenti di regime anziché frenarli. Per una serie di ragioni di varia natura.

C’è la scommessa strategica sull’avvenire, la volontà di accumulare crediti verso futuri governi arabi dalla base sociale e ideologica più allargata rispetto a quella dei vecchi autocrati; c’è la corsa alle risorse energetiche e ai relativi contratti, in un mondo dove tali risorse diverranno sempre più rare e costose a causa dell’impetuoso aumento della domanda da parte dei paesi emergenti (Cina, India, Brasile, ecc.); ci sono le ragioni più strettamente di bottega, come quelle di Sarkozy che ha bisogno di cambiare radicalmente la propria immagine politica se vuole sperare di essere confermato presidente alle elezioni del 2012. I morti civili della Libia pesano nei rapporti internazionali più di quelli dello Yemen o della Costa D’Avorio per queste ragioni.

Appena tre anni fa Nicholas Sarkozy varava l’Unione Euro-mediterranea puntando le sue fiches sui dinosauri politici del mondo arabo: per co-presidente si sceglieva Hosni Mubarak, per amici fidati il siriano Bashir Assad e il tunisino Ben Ali; appena un anno e mezzo fa il Regno Unito lasciava andare libero, per ragioni umanitarie, l’unico responsabile dell’attentato di Lockerbie condannato per poter concludere contratti petroliferi con Gheddafi. Appena sei mesi fa il Segretario di Stato Hillary Clinton trasmetteva a Gheddafi gli auguri del presidente Obama per l’anniversario della rivoluzione-colpo di Stato del 1969.

Oggi questi paesi cavalcano l’onda del “Risorgimento arabo” e sono gli stessi che hanno voluto e ottenuto la risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che autorizza interventi militari a difesa della popolazione civile libica (punto 4 della risoluzione) e per l’imposizione di una no-fly zone (punto 8). E che hanno deciso (con diversi gradi di entusiasmo: massimo per Francia e Regno Unito, scarso per gli Stati Uniti) di dare il via agli attacchi aerei contro la Jamahiriya in forza della risoluzione approvata.

Che cosa doveva e poteva fare in questo contesto l’Italia? Niente di diverso da quello che sta facendo
. Nel momento in cui le Nazioni Unite e tutte le organizzazioni internazionali multilaterali (anche quelle che adesso criticano le modalità dell’intervento militare, come Lega Araba e Unione Africana) hanno deciso che non si poteva lasciare riprendere il controllo incontrastato della Libia a Gheddafi, l’Italia non poteva dichiararsi neutrale come ha fatto Malta. Chi pensa di fare sfoggio di realismo affermando o facendo capire che l’interesse dell’Italia sarebbe stato quello di lasciar riprendere il controllo della situazione a Gheddafi e che l’obiettivo della coalizione a guida franco-anglo-americana non è umanitario ma strategico, politico ed economico, in realtà pecca di mancanza di realismo: gli interessi italiani sono stati compromessi nel momento stesso in cui Gheddafi ha represso con la violenza le manifestazioni di piazza di febbraio ed è scoppiata la guerra civile, perché anche nel caso che fosse riuscito a riprendere il controllo della situazione con la forza delle armi, la comunità internazionale lo avrebbe isolato nuovamente come negli anni di Lockerbie e l’accordo di amicizia italo-libico e i contratti sarebbero finiti nella spazzatura.

Chi evoca lo spettro di un’emigrazione di massa verso i nostri lidi a causa della caduta di Gheddafi o comunque della sua rottura con l’Italia, non tiene conto che anche il ritorno in sella di Gheddafi provocherebbe ondate di profughi, a cominciare da centinaia di miglia di abitanti della Cirenaica. In realtà l’Italia sta cercando, attraverso la partecipazione alla coalizione pro-risoluzione 1973, di recuperare qualcosa di tutto ciò che era andato ormai perduto definitivamente. Sta cercando di limitare i danni. Non si tratta, a questo punto, di criticare la partecipazione dell’Italia alla coalizione, ma di discutere il modo migliore di parteciparvi. Che non è quello di appiattirsi sulle posizioni anglo-francesi.

La risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza, come già la risoluzione 1970, non prescrive il “regime change” in Libia, né l’autorizzazione a combattere al fianco degli insorti contro il governo libico. L’oggetto della risoluzione è la protezione dei civili, da ottenere tramite la dichiarazione del cessate il fuoco da parte delle forze governative. Gli attacchi militari alle forze e alle infrastrutture militari libiche sono strumentali a questo scopo. La ratio della risoluzione è di restituire la parola alla politica, affinché la Libia imbocchi la strada di una transizione pacifica nella riconciliazione nazionale. L’Italia dovrebbe vegliare alla retta interpretazione della risoluzione.

Francesi e americani non possono dichiarare unilateralmente di non riconoscere il cessate il fuoco annunciato ieri sera dalle autorità libiche. Se l’armistizio è reale e non mendace, gli attacchi vanno sospesi e va data una chance al negoziato, per il quale le Nazioni Unite hanno nominato un inviato, Abdelilah al Khatib, il quale finora non ha combinato nulla. Un’Italia che partecipa all’attuazione delle risoluzioni Onu in  modo assertivo, potrebbe avocare a sé un ruolo di mediazione ed esercitarlo effettivamente.

Soprattutto se i franco-britannici otterranno la guida delle operazioni militari, gli italiani dovrebbero rivendicare la guida delle trattative. Paesi come Germania, Russia, Turchia e Cina ci appoggerebbero certamente, e gli Stati Uniti non sarebbero insensibili alle nostre proposte (soprattutto il segretario della Difesa Robert Gates e lo stesso presidente Barack Obama). Naturalmente per fare questo ci vogliono gli attributi, e anche una bella dose di buona sorte. Ma è un rischio da prendere, perché andare semplicemente a rimorchio di quello che fa la maggioranza non garantisce né i nostri interessi nazionali, né la promozione dei diritti umani dei libici.

Articoli correlati

1 commento

Non ci sono ancora commenti.

I commenti sono chiusi.