
Libia, Obama: «Gli Stati Uniti avevano il dovere di agire per fermare Gheddafi»
Gli Stati Uniti, isieme alle forze alleate, sono intervenuti in Libia per fermare «l’avanzata mortale di Gheddafi» ed evitare una carneficina. Ora che la Nato ha assunto il comando delle operazioni militari, il ruolo degli americani diventa «di supporto» con «il più ampio» obiettivo di rovesciare il regime del rais.
Così, in diretta televisiva, Barack Obama ha spiegato le ragioni dell’intervento in Libia. «Gli Stati Uniti avevano il dovere di agire», ha ricordato il presidente americano in un discorso alla National Defense University di Washington. «Sarebbe stato più facile girare la testa dall’altra parte ma così facendo avremmo tradito chi siamo», ha sottolineato, «erano in gioco i nostri interessi e i nostri valori».
Obama, accusato dagli avversari politici di non aver adeguatamente consultato il Congresso e di aver trascinato la nazione, già impegnata in Iraq e in Afghanistan, su un terzo fronte di guerra, ha ricordato di aver detto dall’inizio che «il ruolo dell’America sarebbe stato limitato, che non avremmo inviato truppe di terra in Libia e che avremmo trasferito la responsabilità ai nostri alleati e partner: oggi stiamo rispettando questo impegno», ha sottolineato il presidente, annunciando il passaggio alla Nato del comando operativo delle operazioni militari, otto giorni dopo il primo lancio di missili.
Gli americani, ha evidenziato l’inquilino della Casa Bianca, continueranno a svolgere un ruolo di sostegno alla coalizione «garantendo intelligence, supporto logistico, aiuti umanitari e disturbando le strutture di comunicazione delle forze armate del governo libico». Il passaggio del comando alla Nato, ha dunque tenuto a precisare Obama, implica «rischi e costi significativamente inferiori per i nostri militari e per i contribuenti Usa».
E in ogni caso, ha proseguito, i rischi di un intervento militare non possono essere sempre usati come alibi. «Ci sono nazioni in grado di chiudere gli occhi di fronte a simili atrocità – ha rimarcato – ma gli Stati Uniti sono diversi e io, come presidente, mi rifiuto di aspettare immagini di uccisioni e sepolture di massa prima di agire».
La Chiesa italiana chiede di fermare ogni azione militare in Libia. «Ci uniamo – afferma il presidente della Cei, Angelo Bagnasco – alle accorate parole che il Santo Padre in più occasioni ha espresso di solidarietà a quelle popolazioni e di auspicio per un immediato superamento della fase cruenta: ad intervento ampiamente avviato, auspichiamo che si fermino le armi, e che venga preservata soprattutto l’incolumità e la sicurezza dei cittadini garantendo l’accesso agli indispensabili soccorsi umanitari, in un quadro di giustizia».
«Noi crediamo – spiega Bagnasco a nome dell’intero Episcopato italiano – che la strada della diplomazia sia la via giusta e possibile, forse tuttora desiderata dalle parti in causa, premessa e condizione per individuare una “via africana” verso il futuro invocato soprattutto dai giovani. Ma anche per evitare possibili spinte estremiste che avrebbero esiti imprevedibili e gravi, l’intreccio tra emergenze concretissime, obiettivi politico-ideologici ed interessi economici, rende il quadro generale non solo complesso e complicato, ma anche confuso».
Il porporato, che nei giorni scorsi era sembrato più possibilista riguardo all’iniziativa della cosidetta coalizione dei volenterosi, spiega che «l’invocato e improvviso intervento internazionale, ideato sotto l’egida dell’Onu e condotto con il coinvolgimento della Nato, ha fatto sorgere interrogativi e tensioni». Mentre «di evidente ed indubitabile c’è a tutt’oggi il patire di tanta povera gente». E dunque «non ci si può non rammaricare per il ricorso alla forza che, contrapponendo tra loro i figli poveri di uno stesso popolo e di uno stesso continente, provoca dolore più grande e lutti, se possibile, ancora più drammatici».
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