L’Europeo, ovvero come la modernità sfregia la perfezione (e stavolta il Concilio non c’entra nulla)
L’Europeo letto da Antonio Gurrado
N.10 – Ottobre 20012 – Anno XI
Direttore: Daniele Protti
Titolo: L’altra chiesa
Tipologia: Magazine
Periodicità: Mensile
Prezzo: € 7,90
Pagine: 146
Pubblicità: 4%
Costo di ogni pagina: 5,4 centesimi
Finge di essere un giornale ma in realtà è un libro, questo numero dell’Europeo tempestivamente dedicato al Concilio Vaticano II: non tanto per il prezzo (l’edizione in brossura di un saggio di circa centocinquanta pagine costerebbe grossomodo lo stesso) quanto per la coerente impostazione del tutto. Da questa tralignano solo un’ultima parte sul vaticanista Giancarlo Zizola e un conclusivo inchino alla consueta faccenda delle trame segrete, delle finanze incerte, dei peccati inconfessabili del Vaticano – paginette che si possono saltare senza remore. Eguale destino può toccare all’intervista al professore valdese Paolo Ricca, la cui intervistatrice, trascrivendo il tutto a forza di puntini di sospensione, tenta invano di far passare il professore per Céline, convinta forse di essere Céline pure lei.
Anche se il lettore non volesse accorgersene, la coerente impostazione editoriale che trasforma il giornale in libro è evidente dalla scelta delle foto, impaginate in maniera tale da scandire l’evolversi del ragionamento attorno al Concilio secondo un evidente criterio di unità stilistica che va oltre la diversa identità dei fotografi (Fusar, Barbey, Pallottelli, Dolcetti e Fedele Toscani). Parte dell’apparato iconografico sembra fatto apposta per eternare in alcune espressioni la pochezza umana di fronte agli affari interni dello Spirito Santo: il volto ottuso di alcuni fedeli; la mossa vezzosa di un francescano in posa; il rictus del presidente francese Vincent Auriol; il disagio di Fanfani in alta uniforme; lo sguardo smarrito di Leone di fronte a una cerimonia di cui non riesce a prevedere la durata.
Sembra un libro anche per la pièce de résistance fornita dai cinque articoli di Luigi Barzini, uno più bello dell’altro, fuori categoria, meritevoli di pubblicazione a parte e Premio Nobel (magari quello per la Pace, visto che non si nega a nessuno). La mezza pagina in cui descrive un anglicano in clergyman che assiste all’apertura del Concilio è letteratura. Barzini, figlio d’arte, liberale, avvezzo all’anglofonia senza pompe severgninesche, massimo conoscitore dei suoi compatrioti (il suo capolavoro, The Italians, è tradotto da Rizzoli col titolo Gli Italiani), conosce un’arte ormai svanita dal giornalismo contemporaneo e da gran parte della narrativa: far vedere le cose ai lettori associando a ciascuna di esse la parola adatta. I suoi articoli sono vecchi di cinquant’anni ma la sua descrizione della processione dei padri conciliari vale una diretta in Eurovisione. Tale abilità consente a Barzini di riferire con disinvoltura la frase che riassume meglio l’intero Concilio (“Questi sono protestanti e non lo sanno”) e di escogitare lui stesso un giro di parole che spiega il senso del Cattolicesimo: “L’uomo va salvato dov’è, com’è, e non dove dovrebbe essere e come dovrebbe essere”. In verità Barzini conosce un’altra arte ormai dimenticata da molti giornalisti: sistemare il verbo al singolare dopo espressioni come “il 60% dei padri conciliari”, che nonostante le apparenze recano il soggetto al singolare. Sembra semplice, ma provate ad sfogliare a caso un quotidiano o ad accendere la tv su una qualsiasi rete all news e vedete se sono capaci tutti.
Se L’Europeo sembra un libro, Barzini dovrebbe risultare il principale autore di questo numero e invece, sulla copertina, è inserito nel novero degli altri contributori, addirittura dietro Andrea Riccardi: potenza della modernità, anzi della preminenza del presente a detrimento del passato. Non è questo il luogo per discutere sull’atteggiamento del Concilio riguardo alla questione della modernità, che sembra premere particolarmente al direttore Protti quando apre il numero del suo mensile apponendo sull’intera e bella operazione editoriale dell’Europeo il cappello della frase di Martini sulla “Chiesa rimasta indietro di duecento anni”. Fatto sta che i perfetti articoli di Barzini, vecchi di cinquant’anni, sono qua e là rovinati da interventi moderni – uno di un redattore convinto che il Concilio Vaticano I si sia tenuto fra 1969 e 1970, nonostante che perfino wikipedia lo collochi in tutt’altro secolo, e nonostante l’inopportunità di far tenere il Concilio Vaticano II prima del Concilio Vaticano I; un altro di una mano anonima, che sfregia la descrizione dell’apertura del Concilio giustapponendole un corsivetto, incongruo ma à la page, sulla decisiva presenza di quattro uditrici donne. Antonio Fogazzaro diceva che “la modernità è buona ma l’eterno è migliore”; però, con ogni evidenza, è un autore rimasto indietro di duecento anni.
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