La preghiera del mattino

Alla fine Enrico Letta è il migliore alleato di Giorgia Meloni

Giorgia Meloni e Enrico Letta
Giorgia Meloni e Enrico Letta (foto Ansa)

Sulla Zuppa di Porro parlando di Letta Max Del Papa scrive: «C’è chi lo definisce il migliore alleato di Giorgia Meloni».

Oltre che sulla Zuppa di Porro anche sul Financial Times, sorpresi, si chiedono come mai Enrico Lettino abbia scientemente compiuto tutte le mosse necessarie per essere sconfitto (alla fine le uniche scelte giuste, come dare una chance a Stefano Ceccanti ed Enzo Amendola, le ha fatte per sbaglio). Il quotidiano della City (e del Nikkei) ritiene che gli eredi di Pci e sinistra Dc probabilmente abbiano deciso consapevolmente di perdere per aver tempo di riorganizzarsi. Ma attribuire razionalità alle mosse lettiniane è sempre un azzardo.

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Su Formiche Gabriele Carrer scrive: «Alla fine, l’impressione nei palazzi romani è che “Giorgia” abbia fatto centro. I nomi annunciati sono infatti straordinariamente rilevanti, anche dal punto di vista dell’establishment. Erano attese le candidature dell’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, dell’ex magistrato Carlo Nordio, così come dell’ex (super) ministro dell’Economia Giulio Tremonti o dell’ex presidente del Senato Marcello Pera. A sorpresa si sono aggiunti anche due figure di prim’ordine come l’ex prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro e della cattolica Eugenia Roccella».

Mi hanno particolarmente colpito in Fratelli d’Italia, oltre alla scelta di un ottimo già ministro come Giulio Tremonti o di un fantastico magistrato come Carlo Nordio, le candidature della Roccella e anche di Lorenzo Malagola, due persone di grande qualità e che stimo particolarmente, così come quella di Ester Mieli che non conosco ma che già portavoce della Comunità ebraica romana da di per sé un forte e giusto messaggio. Mi pare che la Meloni abbia in questo senso compiuto un lavoro politico prezioso. Comprendo le perplessità che suscita il mantenere la vecchia fiamma del Msi nel simbolo del nuovo partito, ma mi pare che questa scelta sia determinata anche dal fatto che Gianfranco Fini dopo aver rinunciato alla “fiamma” per costruire con Silvio Berlusconi il Partito delle libertà, si trasformò, grazie alle lusinghe di tanti settori dell’establishment e di Giorgio Napolitano, in una sorta di Pierferdinando Casini, un politico fungibile per ogni occasione. Non riuscirò a votare un partito che contiene ancora nel simbolo un legame con un passato così controverso, ma questo è un problema personale, e comprendo il processo psicologico che l’avventura finiana ha determinato. Spero che anche questo problema sia presto risolto con la formazione di un ampio partito conservatore senza più richiami a una storia ormai finita.

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Sugli Stati generali Jacopo Tondelli scrive: «Il Partito democratico ormai da oltre un decennio pensa solo alleanze, e troppo poco agli elettori. Pensa solo a governare, in qualche modo, e mai abbastanza a come arrivare a farlo. Copre con l’innegabile pressapochismo degli avversari della destra il proprio non esistere, se non sedendo al governo. Qual è il confine, insomma, tra la responsabilità di un partito chiamato a governare ogni volta che “gli altri” rischiano di condurci il disastro, e l’opportunismo di un partito che sembra tifare sempre per il disastro degli altri, per tornare a governare anche senza vincere mai le elezioni?».

Ecco un’analisi da sinistra che coglie il problema centrale del momento: in un modo o nell’altro l’Italia vive in emergenza, dichiaratamente dal 2011 con il governo Monti, ma di fatto anche da qualche anno prima quando le operazioni di destabilizzazione del governo Berlusconi s’intrecciarono con la crisi finanziaria detonata con il fallimento della Lehman Brothers nel 2008. È in corso nella nostra nazione una crisi della democrazia che fa sì che anche uomini di sinistra che mai e poi mai voteranno Giorgia Meloni, si augurino che esca dalle urne una solida maggioranza politica in grado di definire quei ruoli di governo e opposizione indispensabili per far funzionare fisiologicamente un sistema politico.

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Su Affari italiani si scrive: «”A Giuseppe Conte dico, intanto, che la dignità è mantenere la parola data. E questa rocambolesca giravolta di oggi del suo Movimento è tutt’altro che degna. Quello del M5s è alto tradimento nei confronti dei siciliani che hanno creduto al fronte progressista”. Lo dice il segretario regionale del Pd Sicilia, Anthony Barbagallo, dopo che il leader del M5s, Giuseppe Conte, ha comunicato che il M5s correrà da solo in Sicilia uscendo dalla coalizione del fronte progressista».

Viva le devianze! Che scandalo condannare uno stupro! Quelli dei 5 stelle, trogloditi draghicidi, sono anche traditori perché non si alleano in Sicilia con un Partito democratico che non passa un giorno senza insultarli! Ho il massimo della comprensione per persone che militano in un partito guidato da uno come Lettino, però in campagna elettorale bisognerebbe proprio, comunque, tenere l’isteria, almeno un po’, sotto controllo.

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