Letizia Moratti: «Voglio un’Italia più forte in Europa»
Come molti candidati che corrono per le prossime elezioni europee, anche Letizia Moratti sta battendo il territorio (la sua circoscrizione è quella del Nord Ovest) per presentare le sue ricette. L’ex ministro, sindaco di Milano e presidente della Rai, ha deciso di tornare a fare politica nelle fila di Forza Italia e del centrodestra perché, come dice lo slogan della sua campagna elettorale, vuole «un’Italia più forte in Europa». Cosa intende? Tempi gli ha rivolto alcune domande.
Oggi su suolo europeo si combatte una guerra, causata dalla scellerata invasione russa in Ucraina. Finora, eroicamente, il popolo ucraino, grazie al sostegno statunitense ed europeo, ha evitato che il paese fosse totalmente invaso. Tuttavia, le notizie che ci giungono dal fronte ci dicono che l’esercito ucraino è sempre più in difficoltà. Alcuni Paesi e il presidente francese Macron vorrebbero che l’impegno europeo si facesse più consistente, col rischio di allargare il conflitto. Il governo italiano, per bocca del presidente del Consiglio e dei ministri Tajani e Crosetto, si è mostrato più prudente. Quale è la sua posizione rispetto alla vicenda?
Quella ribadita da Tajani. Non vogliamo la guerra con la Russia. La Nato non ha deciso interventi in territorio russo, sono i singoli Paesi che decidono e l’Italia ha deciso che le armi italiane vengano usate per combattere i russi in territorio ucraino. Dobbiamo evitare un’escalation del conflitto. I toni che sono stati raggiunti dal Cremlino sono molto preoccupanti, con insistenti minacce dell’utilizzo di armi nucleari. La comunità internazionale deve prendere posizione.
L’idea che vengano utilizzate armi di distruzione di massa non può essere sdoganata nemmeno come ipotesi, non può e non deve diventare linguaggio corrente. Stiamo parlando dell’ipotesi di uccidere milioni di persone. Ci vuole un grande sforzo internazionale per riportare un po’ di ragionevolezza. Dopo quasi mezzo milione di morti non possiamo non parlare di pace.
Lei ha sempre parlato a favore di una tutela dell’ambiente che non penalizzasse lo sviluppo, la ricerca e i settori della nostra industria. Cosa però si sente di dire ai cittadini italiani, sempre più preoccupati per certe notizie, come – ad esempio – quella recente secondo cui, con l’entrata in vigore della direttiva sull’efficienza energetica degli edifici (le cosiddette “case green”) dovranno mettere mano al portafoglio? Secondo uno studio di Deloitte per raggiungere gli obiettivi imposti dall’Unione Europea «all’Italia serviranno tra gli 800 e i 1000 miliardi di euro».
Ai cittadini dico che vado in Europa anche per cambiare il Green Deal perché è inutile e dannoso darsi degli obiettivi che sono irrealizzabili, perché poi c’è ovviamente un rifiuto e alla fine si rischia di non fare nulla. Governare la transizione ecologica non deve più significare solo fissare dei paletti e delle scadenze senza chiarire con quali risorse. Ad esempio sulle case green, questo obiettivo diventa economicamente non sostenibile per le famiglie, ma anche per le casse dei comuni e dello Stato, visto che parte di quel patrimonio da ristrutturare è anche patrimonio pubblico. Conosciamo tutti il freno del nostro debito pubblico sulla nostra capacità di fare investimenti.
Il Green Deal europeo deve essere una “transizione equa e giusta” che non lasci indietro nessuno e che non esasperi vecchie disuguaglianze o ne crei di nuove, né tra paesi né all’interno degli stessi. Questo significa che siamo tutti d’accordo nell’intervenire sull’emissione dei gas climalteranti, però il come ha delle ricadute economiche e sociali che vanno tenute in considerazione. Così come bisogna rifiutare l’atteggiamento di chi guarda alla nostra industria e alla nostra agricoltura come a un nemico dell’ambiente. Bisogna stare dalla parte del lavoro e accompagnare aziende e agricoltori nella transizione ecologica.
In molti suoi interventi ed interviste l’ho sentita insistere sul tema della competitività. È celebre il motto secondo cui “l’America fa, la Cina copia, l’Europa fa le leggi”. Oggi, però che anche la Cina si è messa a “fare”, cosa deve fare l’Europa per non rimanere vaso di coccio tra vasi di ferro?
Per recuperare competitività dobbiamo agire su vari fattori: Mercato Unico, Accesso al capitale privato, Investimenti pubblici e infrastrutture, Ricerca e sviluppo, Energia, Digitalizzazione, Istruzione e competenze.
Il mercato unico, ad esempio, costituisce un prerequisito per la competitività a lungo termine. Il mercato unico significa sfruttare l’economia di scala. I nostri principali concorrenti stanno approfittando del fatto che sono economie di dimensioni continentali per generare fattori di scala, aumentare gli investimenti e conquistare quote di mercato per i settori in cui conta di più. Abbiamo lo stesso vantaggio di dimensioni naturali in Europa, ma la frammentazione ci frena.
L’economia di scala è cruciale anche per le giovani aziende che generano le idee più innovative. Il loro modello di business dipende dalla capacità di crescere rapidamente e commercializzare le loro idee, il che a sua volta richiede un grande mercato interno.
Il mercato unico dei capitali e l’unione bancaria sono un altro fattore sul quale avere un mercato unico significherebbe iniettare 2 mila miliardi aggiuntivi nel sistema economico europeo. Gli investimenti necessari per accelerare le transizioni verde e digitale, rafforzare la resilienza e stimolare la competitività dell’Unione dovranno provenire principalmente dal settore privato.
Lo spessore e le dimensioni attuali dei mercati dei capitali non sono sufficienti per sostenere la futura crescita dell’Ue. Si calcoli che la capitalizzazione del mercato azionario dell’Ue, in percentuale del Pil, è inferiore alla metà di quella degli Stati Uniti (nonostante i maggiori risparmi nell’Ue) e inferiore a quella di Giappone, Cina o Regno Unito. È essenziale che gli Stati membri, i portatori di interessi privati e le istituzioni dell’Ue continuino a collaborare all’Unione dei mercati dei capitali, anche garantendo maggiori riserve di capitali privati, come fondi pensione. Sono poi necessari investimenti pubblici più ingenti e maggiormente strategici, anche attraverso strumenti più innovativi che contribuiscano a ridurre i rischi per gli investimenti privati, per mobilitare i finanziamenti privati e garantire gli 800 miliardi di euro necessari ogni anno per la duplice transizione e per la resilienza economica dell’Europa.
Un altro tema è quello della ricerca e dell’innovazione.
L’Europa è una potenza scientifica che produce un quinto del 10% delle pubblicazioni scientifiche più citate. Ciò non sempre si traduce però in una leadership commerciale, spesso a causa delle difficoltà nell’espandere le attività imprenditoriali nell’Ue.
Gli investimenti in R&I continuano a essere inferiori a quelli degli Stati Uniti (3,4% del Pil) e della Cina (2,4%), soprattutto a causa del divario esistente a livello di R&I nel settore delle imprese e degli investimenti pubblici stagnanti in R&S. È poi necessario dedicare maggiore attenzione alle tecnologie strategiche (ad esempio tecnologie pulite, sostituzione delle materie prime critiche, tecnologie digitali, materiali avanzati, tecnologie di produzione avanzate e pulite), comprese quelle con potenziale di duplice uso. Mercati interni dell’energia più interconnessi e integrati contribuiranno a garantire l’accesso a un’energia economicamente accessibile, abbondante, affidabile e decarbonizzata per le nostre imprese.
L’Ue dovrà però procedere a una massiccia elettrificazione della propria domanda di energia, un processo che richiede ingenti investimenti in tecnologie decarbonizzate. Sarà inoltre essenziale collegare nuovi centri di produzione di energia decarbonizzata a nuovi centri di consumo. Il piano d’azione europeo sulle infrastrutture di rete rappresenta un primo passo, con la decisione di attuare varie azioni per accelerare la diffusione delle reti e consentire un’integrazione più rapida delle energie rinnovabili.
E per quanto riguarda la digitalizzazione?
La diffusione e l’adozione delle tecnologie digitali e la digitalizzazione complessiva dell’economia sono fattori essenziali per la competitività e la sovranità.
Nonostante l’Ue presenti punti di forza in settori specifici delle tecnologie digitali, come le tecnologie di fabbricazione avanzate e le apparecchiature per la fabbricazione di semiconduttori, la quota dell’UE nel mercato mondiale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Tic) è drasticamente diminuita nell’ultimo decennio. La digitalizzazione delle imprese dell’Ue, in particolare delle Pmi, e dei servizi pubblici sta progredendo, ma in alcuni settori rimane ben al di sotto delle finalità e degli obiettivi del decennio digitale 2030. Per rimediare a tale problema, l’Ue e gli Stati membri dovrebbero attuare pienamente il programma strategico per il decennio digitale.
Infine quello che ritengo un settore strategico quello dell’istruzione e delle competenze. Tre quarti delle Pmi registrano attualmente carenze di manodopera e di competenze, che hanno iniziato ad essere affrontate con il patto per le competenze e con misure volte ad agevolare la mobilità dei lavoratori. La disponibilità di posti di lavoro di qualità, la lotta ai divari di genere e la promozione di pari opportunità per tutti sono fondamentali per attrarre e trattenere la forza lavoro. Una forza lavoro qualificata rappresenta un fattore determinante per la competitività, in un contesto caratterizzato dal cambiamento demografico in corso.
Un tema di cui si parla poco in questa campagna elettorale, ma che sia a lei sia a Tempi sta molto a cuore, è quello dell’educazione e del mondo giovanile. Cosa può fare l’Europa? E cosa si sente di promettere da questo punto di vista se sarà eletta in Europa?
L’Europa deve continuare a investire nei progetti dedicati ai giovani e agli studenti come: Erasmus+ per studenti ma anche per giovani imprenditori, DiscoverY, borse di studio per ricercatori, Eures Targeted Mobility Scheme, Youth Employment Initiative, i bandi Eic Accelerator Open e Eic Accelerator Challenges, il programma Europa Creativa dedicato ai giovani artisti e a chi vuole intraprendere una carriera nel mondo dei media. In sinergia con questi progetti, l’Europa deve mettere in cima alla propria agenda il contrasto alla dispersione scolastica e la riduzione del numero dei Neet, i ragazzi che non studiano e non lavorano e che rischiano di diventare i poveri di domani. È un problema anche di parità di genere. La maggioranza sono infatti ragazze: nel 2021 in Europa il 14,5% delle ragazze e delle giovani donne di età compresa tra i 15 e i 29 anni erano classificate come “Neet” contro l’11,8% degli uomini.
La mia promessa è di grande attenzione a questi temi. L’Europa non avrà un futuro se non avrà un’attenzione particolare verso le nuove generazioni. Sono loro il nostro futuro, perché sono sempre le persone il vero fattore determinante: nella competitività, nella crescita, nel costruire un’Europa migliore, più giusta e più equa con la persona al centro.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!