
«L’esattore fiscale è buono, non buonista»
Un pomeriggio di un giorno da cani, nella sede dell’Agenzia delle Entrate a Romano di Lombardia, un paese bergamasco. Un piccolo imprenditore del luogo, Luigi Martinelli, ha creato il panico per diverse ore, asserragliato negli uffici con un ostaggio e con la minaccia di uccidersi per questioni di debiti con il fisco. Alla fine tutto si è risolto in maniera incruenta, con l’arresto del sequestratore. Restano sullo sfondo le ragioni di un gesto che evidenziano ancora una volta il grave problema della riscossione delle tasse, che sta portando a una angoscia collettiva. «Questo gesto è la punta dell’iceberg, un atto inqualificabile che identifica la difficoltà oggettiva degli italiani nell’affrontare il pagamento delle tasse, ultimamente ancora più ingiuste e inique». A parlare così a tempi.it è il prof. Luigino Bruni, docente di Economia politica all’Università Bicocca di Milano. «È la percezione, sempre più diffusa, di essere inermi davanti a un potere che pretende la giusta riscossione fiscale ma non fa niente per risolvere sprechi e costi della macchina pubblica, anzi irride chi chiede soldi allo Stato debitore».
L’Italia vive uno spaesamento, una solitudine nell’affrontare il problema economico, una mancata solidarietà?
È il problema del territorio. Negli ultimi decenni abbiamo assistito a una trasformazione del sistema bancario e finanziario molto negativa. Si è distrutto il tessuto civile, le casse di risparmio hanno chiuso, assieme alle banche locali. Con gli accorpamenti delle grandi banche, oggi la filiale non ha più rapporti fiduciari con i propri clienti, la distanza dal territorio rischia di creare problemi anche alle aziende virtuose. C’è un impoverimento generale dei patrimoni civili estremamente grave e che crea sfiducia nelle istituzioni. Per non parlare della gestione delle entrate, totalmente sbagliata: dare un premio a quelli che scoprono l’evasione degli altri è un’innovazione pessima, produce soltanto un incattivimento del rapporto di vicinanza tra le persone.
Come fare allora per gestire al meglio il sistema fiscale?
Se le leggi non nascono da un processo condiviso, non esprimono un sentimento di equità popolare, allora non vengono rispettate. Se il cittadino percepisce una legge iniqua, a cui si aggiunge anche un atteggiamento punitivo nei suoi confronti, farà di tutto per non rispettarla. Le leggi sono convenzioni e non imposizioni tiranniche. Oggi in Italia la figura del burocrate oppressivo è all’ordine del giorno.
Le sembra realistica la decisione di alcuni comuni di rifiutare la collaborazione di Equitalia per la riscossione delle tasse, garantendo ai loro cittadini contribuenti una maggior pazienza nell’incassare i crediti?
Mi sembra non solo molto realistica ma anche molto opportuna. Io sono entusiasta di questa proposta. Le tasse sono il cuore di ogni patto sociale e quando si evadono questo patto salta. Dobbiamo riportare le imposte all’interno di rapporti più complessi, che non si basino sul binomio servo – padrone. Se un’impresa, momentaneamente, non riesce a pagare tutte le imposte e l’alternativa è il fallimento, mandando a casa decine di persone, un’amministrazione comunale dovrebbe poter aspettare: meglio dieci persone al lavoro che trentamila euro di tasse in più in cassa. È il buon senso del padre di famiglia.
Quindi esiste la figura dell’esattore buono?
Ma l’esattore è buono. La contribuzione fiscale è un’espressione di cittadinanza per i beni pubblici e comuni. Attenzione: buono non buonista. Vuol dire che cerca il bene della comunità. Se salta questa cosa, salta il patto sociale, non c’è spread che tenga.
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