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Di Lodovico Festa
03 Novembre 2000
Ritratti di Umberto Bossi e Umberto Ranieri

Umberto Bossi
C’è qualcosa che mi sfugge di Umberto Bossi: l’incomprensione deve essere il frutto naturale di chi preferisce pensare la politica come una attività il più possibile razionale e chi ha scelto una logica movimentista, in cui l’affermazione delle identità conta anche più dell’efficacia dell’azione. Grazie a questa attitudine non anticipai, per esempio, le mosse di Bossi nel ’94, perché la razionalità politica non prevedeva la messa in discussione di un ottimo insediamento politico-governativo in cambio di un’avventura con forti rischi elettorali. Nel ’95 Bossi rischiò di scomparire. Lo stesso gli successe nel ’99, e da qui l’ultima svolta. Può darsi che Bossi sia veramente cambiato, abbia esaurito la carica movimentista e si proponga di assumere un vero ruolo istituzionale. Sarebbe bene comunque che i suoi partner studiassero per lui e con lui, un ruolo che preservasse la sua “identità”. Quando gliela si tocca, risponde in modo dirompente.

Umberto Ranieri
La sinistra, grazie al lavoro unilaterale di certe procure, può godere della promozione di tutta una serie di quadri cresciuti nelle sue file, cosa che non vale invece per gli ex dc, né per i quadri provenienti dal Pri e Pli, per non parlare del Psi. Un personale politico cresciuto in trent’anni dal movimento giovanile al partito, all’esperienza di amministratore locale sino al Parlamento e al governo, ha spesso dei limiti (autoreferenzialità, mancanza di esperienze concrete nella società, chiusura nel ceto politico) ma offre anche una crescita “professionale” specifica che se sostenuta da una buona cultura può dare ottimi frutti. Si consideri un politico come Umberto Ranieri, segretario della Fgci di Napoli, poi segretario della federazione, poi deputato con responsabilità nazionali. E oggi uno dei migliori sottosegretari dei governi D’Alema-Amato. Agli esteri spesso ripara alle gaffe di Lamberto Dini. Una solida cultura generale, un’adesione ai valori della socialdemocrazia europea sin dagli anni ’80, un ottimo acume politico. La scuola di Giorgio Napolitano gli è stata preziosa. Gli ha determinato anche, però, il suo peggior vizio: una certa prudenza nell’impegnarsi negli scontri politici aperti.

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