L’artista e lo scienziato che videro in modo nuovo le cose che vedono tutti
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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)
Jannis Kounellis. Nacque il 23 marzo 1936, nacque al Pireo, il porto di Atene. In Grecia non superò la prova d’ammissione alla scuola d’arte. Per iscriversi all’Accademia di Belle Arti venne a Roma nel 1956. Qui il teatro dell’arte era dei più variegati, dei più vivaci. A Roma Alberto Burri, reduce dalla prigionia in Texas, cremava col fuoco e cuciva brandelli di sacchi di iuta; a Roma l’americano Cy Twombly popolava di segni leggeri tele immacolate; a Roma arrivavano da Milano i quadri di bambagia bianca di Piero Manzoni, i tagli di Fontana e le spirali nucleari di Roberto Crippa. A Roma si era formata una scuola romana variegata per invenzione. Il greco Kounellis, per sua affermazione già artista italiano, cercò e trovò presto un linguaggio.
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Nel 1960 era pronto per una personale alla Galleria la Tartaruga. Vi espose la serie degli Alfabeti, lettere e segni convenzionali tracciati con mascherine, in nero, sulla tela bianca. Quasi un gioco di bambino prescolare, con gli stampini; quasi un perfetto feudo pop su cui campare un’esistenza d’artista, come una bandiera a stelle e strisce, come il blow up dei retini di stampa di immagini commerciali, come le serigrafie fuori registro di scatole di minestra industriale, o di fiori o di ritratti, di Mao o Marilyn. Ma i caratteri neri di Kounellis erano in agitazione, in movimento, come se volessero andare altrove. Presto il quadro da parete scomparve. Scomparvero anche i segni. Anche tridimensionali. L’oggetto quotidiano toccato dalla mano santa dell’artista era diventata la più rara, la più inimitabile delle opere d’arte.
Era quell’orinatoio a diventare la Fountain di Marcel Duchamp, erano quel Sellino e quel Manubrio di bicicletta a diventare il Toro di Pablo Picasso, erano le serie di oggetti analoghi allineati su scaffali degli artisti del Nouveau Réalisme, più democratici. Erano in Italia i cavalli vivi esposti in un grande spazio, erano vecchi armadi, appesi uno accanto all’altro in famosi spazi d’esposizione. Erano i massi, buon lavoro a secco, che chiudevano ermeticamente l’ingresso di una mostra. Era l’esempio più coerente di quella che fu chiamata Arte Povera. Jannis Kounellis è morto giovedì 16 febbraio.
Peter Mansfield. Nacque il 9 ottobre 1933. Nacque nel borough popolare di Lambeth, a Londra, a sud del Tamigi. Lasciò presto la scuola senza certificato alcuno. Come apprendista entrò in una tipografia. Affascinato dai razzi V1 e V2 , chiese consiglio a un giornale su come lavorare nel campo. Riuscì a entrare nel Rocket Propulsion Department.
Studiò alla sera, si diplomò e si iscrisse alla facoltà di fisica dell’università di Londra. Prese il dottorato in risonanza magnetica nucleare e per primo osservò il fenomeno degli echi solidi, il ritorno di segnali da tempo svaniti, come se il tempo fosse tornato indietro. Dopo una breve esperienza americana, ottenne un insegnamento all’università di Nottingham dove avrebbe trascorso l’intera carriera e dove avrebbe realizzato una delle invenzioni basilari del secolo (scorso), si a per la possibilità di ricavare immagini inimmaginabili per pura conoscenza, sia per l’utilità in diagnostica medica.
Era l’Mri, l’imaging a risonanza magnetica, basato sul principio fisico della risonanza magnetica nucleare, ovvero sulle proprietà magnetiche dei nuclei d’idrogeno presenti nelle molecole d’acqua che costituiscono più del cinquanta per cento della massa corporea. Il segnale di densità in Rm è dato dal nucleo atomico dell’elemento esaminato, mentre, nelle tecniche di imaging radiologico, la densità radiografica è determinata dalle caratteristiche degli orbitali elettronici degli atomi colpiti dai raggi X.
L’Mri, diversamente dei raggi X, è considerata non dannosa per i tessuti osservati. Mentre il prototipo del suo scanner già era esposto nello Science Museum di Londra, a sir Peter Mansfield, insignito di ogni possibile onorificenza britannica, è stato assegnato nel 2003 il premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina. È morto mercoledì 8 febbraio.
Foto Ansa
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