L’agenda inglese ora è Shared

Di Gabriele Carrer
05 Aprile 2017
Il Regno Unito riparte con un nuovo piano per i poveri e le persone a basso reddito. Chiacchierata con Cliff Prior, alla guida della Big Society Capital

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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – «Non dubitare mai che un piccolo gruppo di cittadini coscienziosi ed impegnati possa cambiare il mondo». Fu così, citando l’antropologa Margaret Mead, che Nat Wei presentò nel 2010 alla Camera dei Lord di Londra la Big Society. Immigrato cinese di seconda generazione, cristiano, il più giovane a sedere alla Camera alta di Westminster fino all’anno scorso, il quarantenne Lord Wei è stato il braccio destro dell’allora primo ministro britannico David Cameron nel suo grande progetto di riforma sociale. L’obiettivo era responsabilizzare e rendere partecipi i cittadini nella vita comune affinché il terzo settore ed il volontariato prendessero le redini di quelle funzioni che lo Stato centrale aveva lasciato libere facendo un passo indietro in nome dell’idea «big society, small government»: meno Stato, più società e comunità.

Un approccio che ribaltava il mantra «la società non esiste, esistono solo gli individui» della lady di ferro Margaret Thatcher. E per realizzare la Big Society il governo di coalizione tra conservatori e liberal-democratici lanciò diversi progetti tra cui il fondo di investimenti Big Society Capital, finanziato inizialmente attraverso il prelievo dai conti di banche ed istituti di credito rimasti dormienti per almeno quindici anni con lo scopo di raccogliere risorse e fornire servizi finanziari alle organizzazioni del settore sociale.

La ghianda e la quercia
Non appena lanciata nel 2011 l’iniziativa, il Financial Times ne aveva scritto come di un’opportunità dal potenziale «enorme» pur essendo «una piccola ghianda da cui è tutt’altro che certo che possa nascere una grande quercia». Ma il giornale economico della City evidenziava la presenza «di alcune idee molto interessanti di finanza sociale», come ad esempio i bond ad impatto sociale, obbligazioni con cui investitori privati possono finanziare progetti di pubblico interesse.

Cliff Prior, Chief Executive di Big Society Capital, racconta a Tempi le due maggiori eredità del progetto Big Society dell’ex premier David Cameron: la stessa Big Society Capital ed il National Service Citizen. «Siamo oggi impegnati con 900 milioni di sterline dei nostri fondi e dei nostri co-investitori in centinaia di organizzazioni sociali e permettiamo loro di ampliare il loro prezioso lavoro. Stiamo assistendo ad un interesse crescente negli investimenti sociali, con infrastrutture più forti ed un impatto sempre maggiore». Il National Service Citizen è invece il «rito di passaggio» per i ragazzi britannici, un programma grazie al quale giovani provenienti da diverse estrazioni culturali vivono e lavorano insieme per un periodo di due mesi. L’ex premier Cameron lo definì uno strumento per «incoraggiare una partecipazione più attiva alla vita della società sottraendo parte dei poteri allo Stato e riaffidandoli nelle mani della gente».

La Big Society avrebbe dovuto riparare con comunità, associazionismo e sussidiarietà una società che il premier definiva «broken», rotta dall’individualismo che ha sepolto la solidarietà verso il prossimo. Ma alcuni commentatori sostengono che la Big Society di Cameron non si sia mai realizzata, e tra questi vi è anche il suo ideologo Phillip Blond, un tempo pensatore di riferimento dell’ex premier ma anche tra i primi ad abbandonarlo criticandone la condotta politica. Secondo Prior, però, «l’approccio più ampio del progetto Big Society – persone e comunità che fanno il bene insieme – ha sofferto l’austerità dopo il crollo finanziario». È stato difficile, «coinvolgere le persone quando le finanze pubbliche venivano tagliate e tagliate di nuovo». Ecco perché il Ceo di Big Society Capital apprezza l’agenda della Shared Society proposta dal nuovo primo ministro britannico Theresa May con il sostegno di un cancelliere come Philip Hammond meno votato al rigore dei conti rispetto al predecessore George Osborne.

Si tratta, dice Prior, di un passo avanti importante. In primo luogo perché «si ammette che il governo deve fare la sua parte, che non può abdicare alle sue responsabilità in settori importanti della previdenza sociale: a prescindere da quale sia il suo ruolo (finanziatore, regolatore o qualsiasi altro), i singoli da soli non ce la fanno». In secondo luogo perché si riconosce che molte persone nel Regno Unito riescono a malapena a rimanere a galla e anche la minima difficoltà può metterli in crisi. «E questo non vale solo per il 10 per cento di più poveri, ma forse anche per un altro 30 per cento rappresentato dalla popolazione a basso reddito». L’obiettivo dichiarato dal premier May è quello di dare risposte ai dimenticati, agli sconfitti della globalizzazione che hanno votato per la Brexit realizzando una società condivisa e che affronti le ingiustizie che minano la solidarietà: una società, come ama ripetere il primo ministro, che «funzioni per tutti».

Nell’incertezza ed imprevedibilità legate alla Brexit c’è necessità di guardare al breve periodo, sostiene Prior, per «rispondere alle richieste d’aiuto delle persone con redditi più bassi e posti di lavoro meno stabili, che rappresentano le fasce più colpite dal cambiamento. Il nostro lavoro come investitore sociale è quello di cercare di individuare le sfide e agire su quelle in cui l’investimento sociale può essere efficace». Ecco perché tra gli obiettivi di Big Society Capital quest’anno ci sono un programma per offrire soluzioni al problema della cosiddetta “tassa sui poveri” (le fasce meno abbienti incontrano maggiori difficoltà e costi ad accedere ai servizi essenziali come gas, energia elettrica, beni per la casa ma anche generi alimentari) ed il sostegno al modello di Housing First per permettere alle persone senza fissa dimora l’accesso immediato ad una casa. Il fondo è pronto per le sfide sociali più urgenti perché «l’investimento sociale è uno strumento, un mezzo e non un fine».

@GabrieleCarrer

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