
La Turchia spaccata in due a un anno dal fallito golpe

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Da ieri, in Turchia, è iniziata la settimana commemorativa in occasione del primo anniversario del fallito golpe del 15 luglio 2016. La cerimonia d’apertura si è tenuta l’11 luglio, con la visita del presidente Recep Tayyip Erdoğan alle tombe del Sergente Omer Halisdemir e del consigliere del presidente Erol Olcok, che persero la vita la notte del golpe.
Nei prossimi giorni sono previste mostre, eventi, conferenze stampa e il 14 luglio ci sarà una speciale chiamata alla preghiera congiunta, che coinvolgerà tutte le moschee in 81 province. La settimana culminerà poi con il discorso di Erdoğan al Parlamento, riunito in una sessione speciale, dopo il quale il presidente si dirigerà verso Istanbul, dove parteciperà alla “veglia per la democrazia”. Quest’evento sarà accompagnato dalla “marcia per l’unità nazionale” sul ponte del Bosforo, presso il quale Erdoğan terrà un ulteriore discorso, e dall’inaugurazione di un monumento dedicato alla resistenza del 15 luglio.
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]L’insieme degli eventi organizzati dal governo è l’ennesimo episodio di una propaganda messa in atto a partire dai giorni successivi il putsch. Infatti, insieme alle ondate di arresti che hanno coinvolto giornalisti, politici e accademici, le azioni di Erdoğan sono state orientate verso la creazione del mito del 15 luglio, cominciato con la modifica dei nomi dei luoghi principali del Paese. Ad esempio, il nome del ponte del Bosforo è stato modificato in “Ponte dei martiri del 15 luglio” (15 Temmuz Şehitler Köprüsü), mentre piazza Kizilay, nel cuore di Ankara, è stata ribattezzata “Piazza Kızılay, della volontà popolare del 15 luglio” (15 Temmuz Kızılay Milli Irade Meydanı). Il presidente e il suo partito sottolineano continuamente le parole “democrazia”, “volontà del popolo”, spesso usate per giustificare operazioni quanto più distanti dallo stato di diritto.
Inoltre, la “marcia per l’unità nazionale” sul Bosforo non raccoglierà il consenso della totalità dei cittadini, visto il successo della contromarcia dei giorni scorsi guidata dal leader dell’opposizione Kemal Kılıcdaroğlu. Il 15 giugno, infatti, il presidente del Partito repubblicano del Popolo (CHP) ha intrapreso la “Marcia per la Giustizia”, partendo da Ankara e percorrendo circa 432 km fino a Istanbul. I cittadini si sono uniti in massa, chilometro dopo chilometro, e la scorsa domenica erano in migliaia i partecipanti al comizio conclusivo, nel quale Kılıcdaroğlu ha denunciato le misure antidemocratiche e repressive perpetrate da Erdoğan nell’ultimo anno.
La “Marcia per la Giustizia” ha rappresentato il fiorire di una nuova speranza per il futuro della democrazia turca. Infatti, dopo le contestazioni di Gezi Park del 2013, per la prima volta i cittadini turchi sono scesi in piazza per contestare lo strapotere del presidente.
Eppure, i segnali dell’indebolimento dell’AKP sono stati evidenti proprio in occasione del referendum dello scorso 16 aprile, quando la vittoria del Sì alle riforme si è fermata al 51,3%. Questi risultati, insieme alla reazione degli scorsi giorni, indicano che la Turchia è un Paese spaccato in due.
Gli eventi commemorativi che seguiranno, dunque, rischiano di esacerbare la frattura, sebbene il leader Kılıcdaroğlu abbia manifestato contro il regime nella maniera più pacifica possibile, guadagnandosi l’appellativo di “Gandhi turco”.
Foto Ansa
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