Ci eravamo appena lasciati con Grillo, la scorsa settimana, ricordando in questo editoriale la sua frettolosa discesa a Roma perché – a suo dire, non a nostra speculazione – «ho avuto timore che il movimento dileguasse in violenza», che è successo quel che è successo. Una strage sfiorata. Perché? Perché, ha confessato l’aspirante omicida, «a 50 anni non si può tornare a vivere con i genitori perché non puoi mantenerti, mentre invece i politici stanno bene e se la godono. A loro volevo arrivare, sognavo di fare un gesto eclatante. Volevo colpirne uno».
Si capirà dove e come ha premeditato di uccidere. Ma è già chiaro che Luigi Preiti non ha sparato all’“impazzata”. Freddo, lucido, quando ha capito che non sarebbe riuscito ad appostarsi all’entrata del Parlamento, ha sparato per uccidere. Ha sparato sopra e sotto i giubbotti antiproiettili, mirando al collo e alle gambe dei carabinieri. Poi, l’ex moglie ha detto ai giornali: «Luigi non è un violento ». E il fratello: «Scrivete che non è uno squilibrato, ma una persona intelligente». Infine, benché ex moglie e fratello non ne abbiano fatto cenno, la «disperazione» è la spiegazione del crimine che va per la maggiore. E l’idea che la politica sia la causa di ogni male, martellata in tutte le salse e in tutti questi anni? Per carità.
Il «siete tutti morti!» di Beppe è solo l’aspetto teatrale di questo clima. Ben più grave è il registro da bava alla bocca che affligge certa pubblicistica. Ben più seria è la presunzione di anime belle che ritengono la democrazia un’esclusiva “cosa loro” e ogni volta che la loro sicumera viene democraticamente sconfitta (vedi discorso di Napolitano e governo Letta) reagiscono con impostura e odio.