Degni di nota

La sacra musica di Benedetto XVI

Lui stesso l’ha detto pochi mesi fa parlando alla platea presente a Milano al parco di Bresso: «Mio fratello è un grande musicista, ha fatto delle composizioni già da ragazzo per noi tutti, così tutta la famiglia cantava. Il papà suonava la cetra e cantava; sono momenti indimenticabili». Ecco la chiave per comprendere quella che non è semplicemente una passione ma un’autentica conoscenza: per parlare dell’intimo rapporto tra Benedetto XVI e la musica non si può prescindere dalla famiglia Ratzinger.

Il papà, Joseph, uomo rigoroso e dai forti valori morali, era appassionato di musica sacra e aveva cantato nel coro parrocchiale della sua città; aveva imparato a suonare la cetra da solo. La mamma, Maria Peintner, nutriva una particolare passione per il canto. Molti erano i momenti nei quali la famiglia si riuniva attorno alla musica. Nel periodo natalizio essa accompagnava la meditazione religiosa e l’attesa per la nascita del Redentore. Si leggeva il Vangelo di Luca, quello della Natività, e a seguire il papà intonava melodie natalizie: Astro del ciel, Oh du fröhliche. Durante il Natale del 1935 Georg (primogenito), che ormai frequentava il liceo, scrisse un inno per pianoforte (suonato da Joseph), violino (suonato da Georg stesso) e armonium (suonato da Maria, la sorella). Una composizione che suscitò la commozione dei genitori.

L’armonium è stato il primo strumento che il padre aveva acquistato per i propri figli, il punto iniziale degli studi musicali dei “piccoli” Ratzinger. Joseph era portato per la musica, mostrando un interesse molto vivo che gli ha permesso di imparare in fretta a leggere gli spartiti. Il rapporto molto stretto tra Joseph e Georg Ratzinger (che è stato anche direttore del Coro della cattedrale di Ratisbona) ha contribuito a consolidare la passione per la musica del futuro Papa.

Ma qual è veramente “la musica del Papa”? Innanzitutto quella di Mozart: «Quando cominciava il Kyrie era come se si aprisse il cielo». Quello che suscita in Ratzinger è una letizia che nasce dalla chiara percezione di quanto quella musica riesca a penetrare in profondità ogni aspetto del reale. Anche in questo caso, l’educazione avuta in famiglia ha lasciato il segno: nel 1941 (Joseph era appena quattordicenne), ricorrendo i 150 anni dalla morte del genio di Salisburgo, ogni domenica, all’ora di pranzo, iniziava una trasmissione radiofonica interamente dedicata a Mozart che a casa Ratzinger si era soliti ascoltare. È lo stesso Ratzinger a testimoniarci l’influenza mozartiana nella sua vita: «La nostra famiglia è sempre rimasta nella zona tra l’Inn e il Salzach. La gran parte della mia giovinezza l’ho trascorsa a Traunstein, città molto vicina a Salisburgo. Mozart è penetrato a fondo nelle nostre anime, e la sua musica mi tocca ancora profondamente, perché è luminosa e al tempo stesso profonda. La sua musica non è affatto solo di intrattenimento, contiene tutto il dramma dell’esistenza umana». L’amore per Mozart ha accomunato Ratzinger a due amici e illustri colleghi: Henri-Marie de Lubac e Hans Urs von Balthasar. Con quest’ultimo, in particolare, Benedetto XVI concorda sul fatto che nella musica mozartiana «risuoni la Grazia della creazione, così come doveva essere all’origine e come dovrà essere alla fine dei tempi; risuona la semplice trasparenza di qualcosa che non deve essere cercato né edificato, ma è semplicemente donato».

Se la musica di Mozart è “dono”, quella di Bach (il più grande maestro di musica di tutti i tempi, secondo Ratzinger) «esprime irresistibilmente la presenza della verità di Dio». Lo ricorda lo stesso Pontefice raccontando di un recital diretto da Leonard Bernstein: «Al termine dell’ultimo brano sentii, non per ragionamento, ma nel profondo del cuore, che ciò che avevo ascoltato mi aveva trasmesso verità, verità del sommo compositore, e mi spingeva a ringraziare Dio».

Ultimo, ma non meno amato, è sicuramente Beethoven del quale Ratzinger predilige le Sinfonie, in particolare la Nona. Quello che più lo provoca è la drammaticità della vita che risuona nella sua musica. Chi lo ascolta, non può non cogliere un commovente invito ad addentrarsi nell’esistenza per scoprirne il senso più profondo. L’orecchio attento e competente del Papa non manca, però, di cogliere un limite: «In Beethoven odo e sento la lotta del genio per dare il massimo, ed effettivamente la sua musica possiede una grandezza che mi colpisce nel profondo. Ma per questa lotta la sua musica appare talvolta un po’ sovraffaticata».

 

La “battaglia” di Ratzinger

L’amore per la musica e l’attenzione alla liturgia sono alla base di una delle “battaglie” che Benedetto XVI ha portato avanti, prima da cardinale e ora da Papa: quella sulla riforma della musica liturgica. Sul tema, molto controverso, il Pontefice ha un’idea molto chiara: la musica pop sta influenzando negativamente quella liturgica. Ratzinger paragona la situazione attuale a quella venutasi a creare durante il pontificato di Pio X che, di fronte a una deriva operistica e “teatrale” della liturgia, fondò nel 1911 la Scuola Superiore di Musica Sacra, elevata venti anni dopo a Pontificio Istituto da Pio XI. Non è una lotta ideologica a favore del canto latino ma, come afferma a Tempi il giornalista e scrittore Francesco Agnoli: «È ormai sotto gli occhi di tutti, a maggior ragione quelli del Papa, come il gregoriano sia sparito dalle nostre chiese, d’improvviso, togliendoci così duemila anni di tradizione. Basti guardare semplicemente ai canti eucaristici: in italiano non c’è pressoché nulla che valga la pena mentre in latino abbiamo il Pange lingua, l’Adoro te devote, il Panis angelicus in cui è espressa chiaramente l’ineffabilità, il mistero e la grandezza dell’Eucaristia. Benedetto XVI è cresciuto ascoltando e cantando questi canti, che la Sacrosanctum Concilium (una delle quattro costituzioni conciliari emanate dal Concilio Vaticano II) indicava di mantenere; per questo vuole che la musica gregoriana torni nelle nostre chiese. Inoltre si noti che l’attuale Pontefice guarda al mondo ortodosso, orientale, il quale ha conservato la sua musica tradizionale che ha permesso di conservare il senso del sacro anche sotto il comunismo».

Dello stesso parere anche monsignor Domenico Bartolucci, personaggio molto stimato da Joseph Ratzinger tanto da considerarlo un pilastro nel “labirinto” della musica classica e sacra. Soprannominato “il maestro” tra le mura vaticane, Bartolucci è musicista, compositore e direttore di coro tra i massimi esperti di Giovanni Pierluigi da Palestrina. Nominato da Pio XII nel 1956 direttore “ad vitam” della Cappella Sistina, ambito musicale per eccellenza della Chiesa latina, fu esautorato (in maniera incomprensibile) dai propri incarichi nel 1997. Nel novembre 2012 Benedetto XVI lo ha nominato cardinale quasi a sottolinearne il profondo legame e l’unità d’intenti. Bartolucci, la cui musica e la “direzione” è stata apprezzata da ben cinque papi, definisce Benedetto XVI il più esperto di musica tra quelli che ha conosciuto: «Suona il pianoforte, è un profondo conoscitore di Mozart, ama la liturgia della Chiesa e di conseguenza tiene in somma considerazione la musica», ha dichiarato nel 2006 in un’intervista all’Espresso. Nella stessa intervista Bartolucci non solo riafferma la medesima preoccupazione del successore di Pietro riguardo alla musica liturgica ma rincara la dose, descrivendo la musica “di moda” nelle chiese di oggi come canzonette beat strimpellate dalle chitarre.

Negli ultimi anni la posizione di Benedetto XVI sulla musica liturgica non ha trovato grande riscontro nel Coro della Sistina. Pomo della discordia, la nomina a direttore di monsignor Massimo Palombella che da più parti non è ritenuto all’altezza di un incarico storicamente così prestigioso. Le idee musicali e di repertorio di Palombella, del resto, non sempre sono risultate in linea con quelle dal Pontefice. Lo stesso Monsignore in un editoriale a sua firma pubblicato dalla rivista che dirige, Armonia di voci, ha esposto dubbi sul concetto di musica liturgica presente prima del Concilio Vaticano II e sull’opportunità, nelle attuali liturgie, dell’utilizzo di Messe come quelle di Mozart o di Palestrina.

 

La conversione di Claudel

In questa complicata situazione si inserisce anche la recente nomina di monsignor Vincenzo De Gregorio a nuovo preside del Pontificio Istituto di Musica Sacra (il conservatorio del Vaticano, per intenderci). La nomina di De Gregorio, che andrà a sostituire monsignor Valentino Miserachs Grau, è stata apprezzata dallo stesso Palombella e da monsignor Frisina, tutti legati da una profonda amicizia e da un’unità stilistica più “pop”, molto criticata dal maestro Riccardo Muti. Proprio il rapporto tra Muti e Benedetto XVI è diventato degno di attenzione negli ultimi anni. I due non hanno mai perso occasione per ringraziarsi reciprocamente per la grande considerazione riservata al repertorio sacro. Lo dice a chiare lettere Muti nell’introduzione al libro di Benedetto XVI Lodate Dio con arte, sottolineando come il Pontefice, pur gravato da mille impegni, «alimenti il suo spirito» sedendo al pianoforte e suonando i suoi autori preferiti e ringrazia il Papa per la denuncia del basso livello musicale presente nelle chiese. Benedetto XVI segue con attenzione e gratitudine il lavoro di Muti, particolarmente attivo nell’educazione e valorizzazione di giovani musicisti e nell’esecuzione di capolavori del repertorio sacro poco conosciuti.

Ma basta l’educazione ricevuta in famiglia a spiegare questa grande sensibilità, questa acuta competenza, questa passione? Non c’è forse un fattore più potente che spiega tutto ciò e ci fa sentire Joseph Ratzinger vicino a noi anche quando parla di musica, la suona, l’ascolta? Parigi, 25 dicembre 1886. La cattedrale di Notre-Dame è affollata da fedeli in attesa dei Vespri. Un uomo è lì in disparte, con aria misteriosa. Non è immerso nella preghiera né attende che inizi il rito; è solo alla ricerca di argomenti contro i cristiani. D’improvviso parte il Magnificat cantato dai bambini del Coro e dagli alunni del Seminario Minore di Saint-Nicolas-du Chardonnet. In un istante il suo cuore viene toccato, un momento di confusione e incredulità, poi solo l’imponenza della presenza di Dio. Quell’uomo in disparte nella cattedrale parigina è Paul Claudel, scrittore caro a Benedetto XVI che ne ricorda spesso la conversione.

«La bellezza è la grande necessità dell’uomo», ricordava il Papa consacrando la Sagrada Familia a Barcellona. Il racconto di Claudel è esemplificativo di questa necessità. Ecco spiegato perché Papa Ratzinger sia sempre strenuo frequentatore e promotore della bellezza, ricordando a noi che: «Il mondo sarà salvato dalla Bellezza» (Dostoevskij, L’idiota, parte III, capitolo V). Una bellezza che non è mera sensazione estetizzante ma richiamo alla trascendenza, capace di redimere dalla «vita banale» un’umanità sofferente.

@maestroleone

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