La rissa e l’evirazione. Storie di ordinaria follia a San Vittore

Di Antonio Simone
18 Maggio 2012
«Siamo 1.600 detenuti, di cui l'80 per cento in attesa di giudizio o, come me, in carcerazione preventiva». Quinta lettera di Antonio Simone.

Pubblichiamo la nuova lettera inviata a tempi.it da Antonio Simone, detenuto nel carcere di San Vittore a Milano. Qui la prima, qui la seconda, qui la terza, qui la quarta. La lettera che segue, in realtà, è stata scritta precedentemente all’ultima, ma è giunta in redazione qualche giorno dopo.

Caro Gigi,
ieri nell’ora d’aria c’è stato un diverbio. Non è stato ancora appurato da Radio carcere se è stato causato da un mancato rispetto, per una precedenza non concessa o per una sfida (il tutto, ricordati, avviene in un recinto di 200 metri quadrati in cui, se tutti scendessero in cortile, dovremmo camminare e muoverci in 300).

Dal diverbio è nato un violento pestaggio: dieci albanesi contro dieci tunisini. Un tunisino è finito in ospedale con diverse spaccature, un secondo tunisino è stato ricoverato al Pronto soccorso interno, un terzo – che era intervenuto per dividere i duellanti – ha preso qualche cazzotto ed è stato accompagnato in cella. In giro c’era molto sangue e, durante la notte, alcuni di quelli coinvolti nella rissa sono stati trasferiti in altre carceri.

Quello che ha cercato di dividere, tornato in cella, si è evirato un testicolo e lo ha messo in un bicchiere. A disposizione.
Qui si discute se è giusto picchiare due persone in dieci o se, come pensano quelli che le hanno prese, sia più corretto affrontarsi uno contro uno.
Queste sono le storie di ordinaria follia in un carcere al centro di Milano nel 2012. Siamo 1.600 detenuti, di cui l’80 per cento in attesa di giudizio o, come me, in carcerazione preventiva.
Antonio Simone

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1 commento

  1. francesca

    dunque, mi sono laureata in giurisprudenza in cattolica 22 anni fa. Il docente di penale I all’epoca era il prof Stella, il quale ogni tanto interrompeva le sue famose lezioni sul nesso di causalità con questo pensiero-invito: “prima di diventare avvocati, dirigenti, ma, soprattutto, magistrati, andate a san vittore. Andate a vedere come sta la gente lì dentro, andate a rendervi conto che sono uomini e che gli uomini non possono essere trattati come bestie. E ripensate, se dovrete giudicare, a quel che avete visto”. Aggiungeva (come sentivamo dire anche dal professore di procedura penale): “Considerate, soprattutto, che i 2/3 dei detenuti sono in attesa di giudizio, in carcerazione preventiva”. All’epoca, non credevamo ai professori, sembravano esagerati. Dopo 20 anni è ancora così. Anzi, è peggio. In tutto questo, vorrei tanto ringraziare Antonio, e ringraziare Voi che gli date voce, per non essersi scoraggiato, seppure ne avrebbe motivo, dal dire che “fatti non foste per viver come bruti” e per dirlo con ragione, affezione, compassione, magnanimità e simpatia. In modo, cioé, così umano e cristiano. Grazie di cuore.

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