La risposta è più Europa? «Sì, ma ci vogliono proposte concrete»

Di Leone Grotti
17 Ottobre 2012
Parte il congresso del Partito popolare europeo a Bucarest dal titolo "La risposta è più Europa". Nella prima sessione di studio, i delegati si dividono sulla crescita.

Dal nostro inviato a Bucarest. «C’è un problema colleghi: i cittadini non ci credono più, ci vuole una linea politica chiara del partito sia per quanto riguarda il commercio estero che per il mercato interno, perché in Europa cominciano a vincere i partiti che fanno proposte populiste». Così il francese Jean-Pierre Houdin sfida gli europarlamentari del Partito popolare europeo che, riunito in Congresso in Romania, a Bucarest, nel Palazzo del parlamento, l’ex Casa del popolo, il secondo edificio più grande del mondo dopo il Pentagono fatto costruire dal dittatore comunista Nicolae Ceauşescu, oggi e domani eleggeranno il nuovo presidente e, come dichiarato dal presidente in carica Wilfried Martens, «una nuova piattaforma politica, che deve fornire le fondamenta dei nostri valori per l’azione politica dei prossimi mesi e anni».

LA RISPOSTA È PIÙ EUROPA? In attesa della prima sessione plenaria del Congresso di oggi pomeriggio, dal titolo “La riposta è più Europa”, i delegati si riuniscono in diversi gruppi di studio tra cui quello sulla crescita e l’occupazione. Per un’ora si parla di «fare un’offensiva per l’occupazione e per venire incontro alle aspettative dei giovani», «migliorare la competitività delle imprese», «regolamentare i mercati finanziari», «garantire più sviluppo». Poi l’uscita del francese, seguito a ruota da colleghi di tutte le nazionalità: «Ci vogliono progetti concreti, non parole», «l’Europa invecchia, se non facciamo qualcosa per invertire la tendenza l’economia andrà sempre peggio», «la risposta è più Europa ma non sempre».

SCETTICISMO. I delegati del Ppe si dividono, quasi scettici sul lavoro e sulle reali capacità del Parlamento europeo. Corien Wortmann-Kool, vicecapogruppo del Ppe che conduce la discussione, ammette che «non so se abbiamo davvero delle risposte concrete da dare alla gente. Ma ne parleremo dalle prossime settimane a Bruxelles e invito tutti a riproporre gli stessi problemi».

LA RICETTA TEDESCA. Solamente due persone non ci stanno a terminare l’incontro in modo così inconcludente. Il primo è il segretario di Stato tedesco Ralf Brauksiepe, che difende «il modello Germania, che ha fatto enormi sacrifici, anche riduzioni salariali, per dimezzare la disoccupazione e mettere in ordine i conti. Con Angela Merkel, ripeto che rigore e crescita non sono in contrapposizione. Per uscire dalla crisi, la Germania ha puntato su due aspetti: la formazione duale, che coniughi istruzione e inserimento in azienda, e una riforma del mercato del lavoro che garantisca sicurezza ai lavoratori e flessibilità alle aziende. Invito tutti i paesi a seguire questa strada, oggi avremo qui diversi capi di Stato, sentiamo cosa avranno da dire».

IL LAVORO ITALIANO. Il secondo è Antonio Tajani, vicepresidente della Commissione europea per l’industria e l’impresa, che risponde alle accuse: «Settimana scorsa abbiamo adottato la nuova strategia per la politica industriale che fissa un nuovo obiettivo per l’Europa: almeno il 20 per cento del Pil europeo dovrà arrivare dall’industria. Abbiamo dato troppo spazio in passato alla finanza e ai servizi, ora dobbiamo concentrarci sull’industria. Abbiamo approvato una misura contro il ritardo dei pagamenti da parte degli Stati membri alle imprese, specie le pmi, abbiamo costituito la rete degli ambasciatori delle pmi, abbiamo presentato un documento sulla internazionalizzazione delle pmi e continuiamo ad incentivare gli erasmus per i giovani. Tutte cose fatte, ma poi è chiaro che queste pratiche devono essere implementate dagli Stati membri». La palla passa ai capi di Stato e dei principali partiti europei che parleranno oggi.

@LeoneGrotti

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