Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Siamo il paese delle scorciatoie, compagni, amici e bastardi di ogni genere e grado. Pensiamo sempre a come sfuggire di sguincio alla coda, alla fila, all’ingorgo, ma anche alla logica difficoltà della salita, uno su mille ce la fa (copyright Gianni Morandi) e quell’uno vorremmo essere noi, sfilandoci dalla pazza folla. Quante volte l’abbiamo sentita/seguita questa tendenza al piccolo cabotaggio: prendi per di là che facciamo prima, conosco uno che ci trova i biglietti, sono amico dello steward che ci fa passare per l’entrata di servizio.
Adesso, per esempio, leggo tutti questi discorsi sulla differenza reti per arrivare primi nel girone di qualificazione al Mondiale e quindi evitare l’insidioso spareggio. Tutti questi discorsi presumono che, con una migliore differenza reti, il 2 settembre a Madrid basterebbe un pareggio e sarebbe fatta. Come se il pareggio fosse già previsto. E invece no. Possiamo anche beccare e allora tutti questi conti sulla differenza reti a cosa sarebbero serviti? A una cippa. Il discorso andrebbe rivoltato: a Madrid andiamo per vincere e quindi che ci frega della differenza reti?
Ragazzi, bisogna saper osare. Come per il sistema elettorale. Ognuno cerca di crearne uno che gli possa andar bene, con cui possa sfangarla e possibilmente impedire agli avversari di fare bingo. Belin ma se tu sei convinto di essere migliore, di essere forte, di avere le capacità per vincere, vayas con Dios. Bisogna sempre stare lì a fare calcoli, a cercare di entrare dalla porta di servizio? Si va in campo per vincere. Ma noi ci accontentiamo solo di sopravvivere. Hasta la victoria siempre, ma anche un pareggio non è male, come diceva il Che.
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