
Il problema di spiegare Anna Frank nei nostri stadi

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Non ho mai letto il Diario di Anna Frank. E neanche Il Ponte sulla Drina di Ivo Andric, evocato da Mihajlovic. Confesso che mi dispiace di più per il secondo. Il Diario di Anna Frank ha un grande valore simbolico, di cui colgo comunque il valore di testimonianza di una immane tragedia. Chi ci scherza o chi la usa per offendere “il nemico” merita che gli capitino le peggio cose.
Però siamo alle solite. Non è certo da ieri che gli stadi italiani sono pieni di gaglioffi bercianti. Ricordo che, 25 anni fa, a un collega, accusato di aver raccontato un episodio poco edificante di cui erano stati protagonisti, gli ultrà cantarono: “Tu sei il capo degli ebrei”. Carini.
Gli ebrei non sono gli unici a subire le flatulenze dei cialtroni. Sono solo quelli per cui si infiamma l’indignazione collettiva. Per l’Olocausto. Per gli ebrei che abitano uno Stato chiamato Israele s’infiamma un po’ meno, anzi nulla.
Su una cosa il noto gaffeur Lotito ha ragione. “Famo sta sceneggiata”. Sanno di farsa, la lettura del Diario prima delle partite; le magliette con il volto di Anna Frank sulle maglie dei giocatori, costretti a un rito di cui capiscono poco o nulla; i giornalisti che partono alla carica chiedendo: “Hai letto Anna Frank? Sai chi era Anna Frank?”.
Infatti è già finito tutto. Il problema non è spiegare a costoro Anna Frank, è “spiegargli” (capisci a me) che se ne devono andare dai nostri stadi.
Foto Ansa
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