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La guerra in Siria, dopo 11 anni, non è ancora finita

La lettera di suor Marta Luisa, superiora delle monache trappiste di Azeir: «L'85 per cento della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Le sanzioni che ancora ci comminate immiseriscono le nostre vite»

Suor Marta Luisa
06/04/2022 - 6:25
Esteri
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Vita quotidiana a Damasco, Siria

Ripubblichiamo l’articolo tratto da Ora pro Siria sulla situazione della Siria, entrata ormai nel suo dodicesimo anno di guerra. L’autrice, suor Marta Luisa, è superiora delle monache trappiste di Azeir.

In questo marzo del 2022, un anniversario doloroso ha segnato le nostre giornate e la nostra preghiera. Passato un po’ sotto silenzio, a causa dei nuovi drammi e delle nuove preoccupazioni che affliggono il mondo, si sono compiuti ormai 11 anni dall’inizio della guerra in Siria!

Una guerra che purtroppo non è ancora finita, anche se la maggior parte del territorio siriano è ormai consolidato sotto il controllo dello Stato. Resta la presenza fondamentalista nella zona di Idlib, al confine con lo Stato turco; ormai quasi un piccolo Stato a sé, che utilizza la lingua e la moneta turca, una zona dove i cristiani rimasti sono sottoposti a dure condizioni e privazioni.

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Resta l’occupazione americana a est del paese, nei territori verso l’Iraq, che sfrutta le risorse del paese, restano le zone curde, instabili e bellicose nel loro desiderio di autonomia che finisce per diventare un punto debole, una carta da giocare per chi li vuole manipolare…

E, sempre nel nord-est, la situazione tragica delle minoranze cristiane, le comunità siriache che si trovano intrappolate tra diverse forze contrapposte, in condizioni di insicurezza per non dire peggio. In questa parte della Siria, si può arrivare solo in aereo (dei piccoli voli interni) perché le strade sono ancora minacciate dai jihadisti…

Anche al sud, verso il confine con Israele, nella zona drusa, le tensioni ogni tanto si riaccendono… Continuano incessanti gli attacchi missilistici di Israele su obiettivi soprattutto iraniani (zone militari e logistiche presenti nel paese su invito del governo, per sostenere l’esercito regolare siriano) nel silenzio generale dell’informazione.

Possiamo aggiungere la crisi del Libano, con l’esplosione al porto di Beirut, e pochi mesi fa l’attacco missilistico al porto di Latakia, che hanno reso più difficile la situazione già precaria, indebolendo gravemente la classe imprenditrice del paese, in generale la possibilità di lavoro e approvvigionamento.

L’85 per cento della popolazione vive sotto la soglia della povertà, con fatica a procurarsi anche solo il cibo quotidiano. Quattordici milioni e mezzo di persone bisognose di sussidi, e alcune stime dicono molte di più.  La vita è carissima, tutto è aumentato: un cartone di uova oggi costa 13.000 lire siriane, una bombola del gas 110.000, quando uno stipendio base è di 100.000!

Imperversano le mafie, queste bande di sciacalli che ogni conflitto, ogni guerra produce… Mafie che prosperano, anche con l’aiuto delle sanzioni internazionali, che nonostante gli appelli continui fatti da esperti di geopolitica, da statisti, da innumerevoli vescovi e laici siriani che combattono ogni giorno contro gli effetti della povertà, non solo continuano, ma sono rinnovate regolarmente dai nostri Stati europei ed anzi “migliorate”, aggravate, con banale disprezzo non dico della solidarietà umana ma anche del semplice buon senso. Le sanzioni non colpiscono mai i potenti, ma solo la povera gente… Anche scrivere questo è un’ingenuità, perché in realtà appare sempre più evidente che quello che si vuole ottenere, da parte di chi ha mosso le fila di questa guerra, non è la giustizia, non è il benessere dei popoli, ma l’instabilità necessaria per mantenere le proprie strategie internazionali… Cose dette, ridette, scritte, spiegate… Ma vale la pena forse dirlo ancora oggi, perché magari qualcuno in più rifletta, e la nostra esperienza, il dolore della nostra gente, possa servire a qualcuno.

Oggi, da qui, vediamo preoccupati l’incoscienza con cui i nostri paesi occidentali, e l’Italia in prima fila, dimenticano la forza della diplomazia e della ragione per evitare (e almeno fermare) la guerra ucraina (che si poteva evitare, la si prevedeva da anni…) e si lanciano spavaldamente in forniture di armi che, ve lo possiamo dire per esperienza, una volta caricate e messe in mano ai civili, continuano a sparare e a fare vittime per anni. Gli eserciti regolari si possono controllare, le armi in mano ai civili no.

Come non essere addolorati per la prospettiva di una “nuova Siria” nel cuore dell’Europa? Noi che ancora, giorno dopo giorno, vediamo partire i nostri giovani verso terre promesse che non esistono più… Conosciamo giovani, famiglie intere, che sono partite dalla guerra in Siria, e sono andate profughe in Ucraina. Ora si ritrovano in un nuovo esodo, ancora in fuga dalla guerra…

Fino a quando? Dipende anche da noi. Dipende dalla nostra capacità di giudizio, di discernimento sulle cose e sugli avvenimenti. Non possiamo solo “subire e sopportare” ciò che accade. Resistere è importante, e lo vediamo nella grande forza che i siriani hanno, nonostante tutto, di far fronte alla vita e alle difficoltà.  Ma oltre alla resilienza occorre l’intelligenza, cioè il “leggere dentro” le cose, farsi una opinione obiettiva, non unilaterale…  Avere una visione, e agire di conseguenza, là dove si può e come si può.

In questa prospettiva condividiamo un evento importante, che si è svolto a Damasco dal 15 al 17 marzo. Un convegno, voluto fortemente da Roma, dal Vaticano e in particolare dalla Congregazione per le Chiese orientali, il dicastero che segue e coordina la presenza di tutte le chiese cattoliche, cioè i vari e numerosi riti presenti in Siria e nell’Oriente cristiano.

Questo incontro ha riunito per la prima volta in modo così ampio cardinali, vescovi venuti da Roma, ma anche rappresentanti delle varie organizzazioni caritative internazionali (tra cui Caritas, Aiuto alla Chiesa che soffre, Oeuvres D’Orient, Sos Chrétiens d’Orient…) anche laiche, come le agenzie dell’Onu o la mezzaluna rossa, insieme a patriarchi, vescovi, religiosi e laici di Siria impegnati nella solidarietà e nella carità.

Il tema, “Chiesa: casa della carità: sinodalità e coordinazione”, è stato uno stimolo a importanti condivisioni, al tentativo prima di tutto di conoscersi, di confrontare le diverse prospettive, ma prima ancora di formarci insieme una coscienza, una visione appunto di ciò che stiamo vivendo, di ciò che è al cuore dell’esperienza dolorosa della nostra gente, ma anche delle sue speranza, delle possibilità reali di costruire, dopo tanta distruzione.

Fra tutte, il contributo essenziale di monsignor Dal Toso ha dato la vera prospettiva del nostro ritrovarci per riflettere insieme: la carità cristiana non è uno sforzo umano di solidarietà, di filantropia, di buoni sentimenti. La fonte della carità è Dio, che è amore, e la misura della nostra carità è il Cristo stesso, colui che per amore ha dato la sua vita. Per questo la nostra carità come cristiani non può nascere al di fuori della Chiesa: una Chiesa che come spiegava l’enciclica di papa Benedetto XVI Deus Caritas est, ripresa poi da papa Francesco, proclama la Parola, cioè la Buona Novella, la celebra nei Sacramenti, e poi la serve nella carità.  Perciò la Chiesa offre delle persone che credono nell’amore di Dio, e crescono nella fede, prima ancora che offrire delle opere e dei progetti. Da qui nasce anche tutto l’impegno per la formazione di cristiani adulti e consapevoli. “Costruire personalità solide cristiane, è il più grande contributo che possiamo dare”. E questo ci è stato confermato anche dai fratelli musulmani presenti all’incontro, che ci hanno chiesto di prendere la nostra responsabilità specifica come cristiani nel ricostruire, nel coordinare, nel dare il nostro contributo alla rinascita di questo paese.

Solo parole? Beh, c’è sempre il rischio di fermarsi lì. Perché le sfide sono grandi: la coordinazione degli sforzi, e quindi la conoscenza reciproca, senza spirito di protagonismo ma piuttosto di collaborazione. La trasparenza nella gestione finanziaria, adottando soluzioni concrete contro la corruzione che inevitabilmente rischia di toccare anche la gestione ecclesiale delle cose. La professionalità nel preparare gli interventi di aiuto, l’attenzione ai bisogni non solo materiali ma anche spirituali delle persone. L’attenzione ai giovani, alle nuove famiglie, occupandosi di creare prospettive di lavoro, di inserimento nelle dinamiche di responsabilità della gestione comune, di risolvere il problema di alloggi a basso costo. La riqualificazione dell’insegnamento e delle scuole…

Perché le parole si realizzino, almeno fin dove si può, non si può far altro che partire da noi stessi. È solo l’impegno di tutti che può portare frutto. Noi nella nostra piccola realtà cerchiamo di favorire gli incontri formativi, con gli ospiti che sempre più numerosi vengono al Monastero… Cerchiamo di sostenere economicamente i bambini e i ragazzi per lo studio, di dare lavoro a qualche donna rimasta sola o con difficoltà in famiglia, appoggiamo qualche piccolo micro progetto (l’acquisto di qualche mucca per giovani che dopo dieci anni di servizio militare si ritrovano senza nulla in mano, per dare la possibilità di iniziare un lavoro con un po’ di reddito).

Piccole cose, perché il vero problema è che qualunque attività si inventi, non c’è mercato. La gente non ha più nessun potere di acquisto, deve pensare al pane. Ma lo facciamo con tutto il cuore, per contribuire a mantenere viva e reale la speranza. E perché sappiamo che la Buona Notizia ha davvero il potere di cambiare la nostra vita, anche nelle difficoltà.

Foto Ansa

Tags: guerraSiria
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