La Grande Bellezza? No, la Grande Monnezza: ecco la Roma disastrata di Marino che Sorrentino non ha raccontato
Chiamatela La Grande Monnezza, Roma, caput mundi, città unica, così orgogliosa e cosciente di esserlo. Altro che le immagini rarefatte di Polo Sorrentino, le sue artificiose eleganze, pur nella decadenza. Quella Roma è finta, irreale, nella sua disincantata e perturbante bellezza, non meno degli acquerelli colorati da Alberto Sordi o Carlo Verdone. Quella delle fontanelle, delle madonnelle, dei grezzi di periferia in canotta o delle sore cecioni ai mercati, anime popolari da sonetti del Belli che non esistono più. Sorrentino racconta la Roma dei ricchi, le penombre dei palazzi, gli stornelli cantano grida e odori dei rioni. Ritratti perduti.
Su una cosa ha ragione il pompatissimo film candidato all’oscar, la città non ha colpa. È la gente che vi scorrazza a renderla invivibile e volgare, a sgretolare mura antiche e dignità. Forse è sempre accaduto: imperturbabile, segnata da un non comune destino, rassegnata ai suoi oneri e pressata dai suoi fasti, Roma ha sopportato principi e barbari, corti esangui e lussuriose, rivoluzioni di piazza, mondanità curiali e bombardamenti. Oggi le calamità, il degrado sono i serpentoni di auto in coda, le esalazioni mortifere, la monnezza che straborda e insozza i suoi spettacolari fondali, l’arroganza di piccoli poteri che rubano, squallidamente, avidamente, senza attenuanti di gloria, la tronfiaggine dei politici che pretendono da lei onore e potere, come un privilegio, un diritto, da non meritare e restituire.
Roma non ha colpa, se diventa cuore e metafora di quest’Italia depressa, sgarrupata, di questo paese preso a schiaffi e sputi dai notabili d’Europa. Prendetevela coi romani. Mai stanchi di sfruttare questa città, d’abusare dei suoi splendori: alla fine dell’Impero erano solo i patrizi a perdersi nel lusso e negli ozii, a lasciarsi uccidere nell’inerzia dalla volontà di conquista degli invasori. È di tutti la smagata fiacchezza, la pigrizia, il vizio fino alla corruzione. Questa è Roma, il cuore d’Italia.
L’azienda di raccolta rifiuti capitolina – Ama – ha cambiato i vertici, che continuano a gestire 7.500 dipendenti e 700 milioni di euro di debiti con le banche. La raccolta differenziata sfiora solo il 35 per cento, peraltro inutile, visto che mancano impianti per il riciclaggio e tocca rivolgersi fuori regione, aggravando i bilanci.
L’azienda municipale dei trasporti – Atac – croce dei cittadini, conta 12 mila dipendenti, 80 dirigenti, con perdite di 700 milioni di euro, nonostante i 3 miliardi di sussidi pubblici per coprire gli sprechi, l’inefficienza, lo stato inqualificabile delle vetture e il menefreghismo dei cittadini. Su 1,2 milioni di clienti l’anno, il ricavo è di 240 milioni dalla vendita dei biglietti: per fare un confronto, a Milano i passeggeri sono la metà – circa 600 mila – e il Comune dai ticket incassa 654 milioni di euro. D’altra parte, tra tanti lavoratori assunti, a Roma solo 70 fanno i controllori. La metropolitana? Solo due linee, la terza, la C, è in fieri dal 2007. Le stazioni, anche in centro, sono sporche e invase da topi, e vengono chiuse per allagamento a ogni temporale. Già, la pioggia.
Chi di neve ferisce di pioggia perisce. Se l’ex sindaco Alemanno era stato crocefisso per l’abbondante e insolita nevicata che aveva bloccato la città per tre giorni, gli sfottò dei romani verso il neosindaco si sprecano dopo l’abbondante pioggia che proprio per l’incuria dell’amministrazione capitolina si è trasformata in alcune zone della capitale in alluvione. I romani per carattere ci ridono su, e così sono nati gli hashtag su Marino #sottomarino, #sturailtombino. Hanno riso meno, però, i motociclisti che si sono piantati nelle cento buche aperte nell’asfalto per il nubifragio e che il Comune non ha riparato per settimane.
Il celebre chirurgo non ha brillato nel suo ruolo di primo cittadino, gli esempi si sprecano: le pretese del suo partito in giunta e la lotta tra cuperliani e renziani; la difficoltà nelle nomine. E pure due strafalcioni: il primo infortunio è sul nuovo comandante dei vigili urbani, bocciato dopo pochi giorni perché non aveva i requisiti. Il secondo: poiché Alemanno era caduto proprio sull’azienda dei rifiuti, piena di assunzioni clientelari, Marino ha battuto il pugno, «faccio pulizia!», richiamando il compito primario di quell’azienda.
Dagli elenchi delle città rosse, ha pescato il supermanager a Reggio Emilia: Ivano Strozzi, nuovo presidente e amministratore delegato dell’Ama, si è insediato il 9 gennaio, esibendosi subito in un’intervista a Il Messaggero: «Roma? Ho fatto via Nazionale: mi sembra pulita. Certo non conosco le altre zone…». Roma è grande come un milione di vie Nazionali; Strozzi è durato una settimana: licenziato in quanto indagato per traffico illecito di rifiuti. Ennesima figuraccia per il sindaco.
La settimana dopo arriva direttamente dalla terra dei Fuochi la nomina di Daniele Fortini, già a capo della raccolta rifiuti di Napoli: corrono voci su un suo coinvolgimento giudiziario, forse è indagato, forse no, anzi, archiviazione. Ma controllare prima e dire tutto, senza omissioni? Aggiungiamo il pasticcio, con relativi disordini, per i funerali di Priebke; le manifestazioni e i cortei per il diritto alla casa. Ma soprattutto, il bilancio: una falla da sistemare ancora una volta con un decreto governativo. Chi dice 12, chi dice 10, chi 8,6 miliardi di euro di buco, che comunque hanno spinto al famigerato decreto Salva-Roma.
Il raccordo sempre bloccato
Per dribblare la marcia sulla capitale di centinaia di enti locali in crisi, Napolitano l’ha fatto ritirare, per trasmutare gli aiutini nelle “norme pro-capitale” inserite nel Milleproroghe, ennesimo travaso di risorse della gestione commissariale, che accolla i debiti sul groppone dello Stato. Stratagemmi per approvare di anno in anno il bilancio, non per sanare gli squilibri: si è proposto di aumentare l’addizionale Irpef all’1,2 per cento, di alzare ai massimi le aliquote nuove sulla casa, si è discusso di dismissioni immobiliari e vendita delle municipalizzate, liquidazioni di società inutili.
Di fatto, approvato il bilancio, con l’ossigeno per vivacchiare un altro anno ancora, il sindaco ha lanciato la sua sfida dei 90 giorni. Lavori pubblici, decoro, viabilità urbana, edilizia scolastica… «La politica dell’austerità è sbagliata per la Capitale». E guai a dimenticare la cultura, vedi la Nuvola di Fuksas, un parallelepipedo di acciaio e vetro per un grande auditorium all’Eur, da terminare per l’Expo 2015. Cantiere aperto, e 100 milioni all’anno portati in dono dalla legge di stabilità. I teatri chiudono per mancanza di fondi, stessa sorte tocca ai piccoli musei, AltaRoma, la kermesse della moda, ha fatto sfilare l’ultima edizione. Quale cultura esprime Roma, sopra Viterbo e sotto Latina? Cultura non significa solo chiudere al traffico i Fori Imperiali. La “passeggiata dei romani”, secondo l’auspicio del sindaco, riguarda i pochi eletti che dai belvedere lussuosi gettano languidi sguardi sulle rovine, come Jep Gambardella, il dandy snob e annoiato protagonista de La grande Bellezza.
Gli altri romani maledicono e sopravvivono, come sempre, imparando a dribblare segnaletica, regole, doveri. La Bellezza di Roma, per tutti loro, non c’è. C’è solo la tangenziale, il raccordo perennemente bloccato, con le campagne rinsecchite e lordate di accampamenti rom, con il biondo Tevere che a qualche curva fa capolino (non lo dragano da vent’anni), portando a galla materassi e lavatrici, carcasse d’auto e cadaveri.
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1 commento
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Quasi tutto vero quel che si dice nell’articolo. Ma i romani responsabili e di coscienza NON si arrenderanno mai. Continuerò a lottare sempre per la mia città, a praticare la virtù cristiana anche contro ogni evidenza, anche se sembra impossibile, nonostante la cialtronaggine di molti che ci abitano e i continui scherni giusti e impietosi degli osservatori esterni. Non mi fermerò mai. Dio raccoglierà le preghiere innalzate con il cuore, e premierà gli sforzi costanti e i sacrifici a Lui offerti per ridare dignità e splendore alla culla della Sua Chiesa.