Fiumi di inchiostro si sono versati per raccontare la vita e le canzoni di Lucio Battisti. Decine di puntate televisive e radiofoniche: il suo rapporto con il pubblico, con lo “star system” dell’industria discografica, con i mezzi di comunicazione. Mai si è parlato della sua arte rispetto al trascendente, al rapporto con una realtà divina. E’ vero, era essenzialmente un musicista, le parole gli erano dettate dal grande Mogol, ma non è possibile immaginare un totale suo disincanto rispetto a al contenuto delle sue canzoni. In qualche modo si trovava a interpretare pensieri altrui, dando a quelle parole una credibilità e un’umanità, segno di una simbiosi che non poteva essere casuale.
E’ quello che possiamo riscontrare nell’ascolto di un inedito (almeno su “supporto” fonografico) che da tempo viaggia su YouTube: un provino, oggi lo chiameremmo “demo”, in cui il grande cantautore con chitarra e uno sparuto coro esegue La folle corsa, canzone ufficialmente (almeno qualche anno fa) riconosciuta alla coppia Mogol – Donida, (la stessa di Prigioniero del mondo, La compagnia e La spada nel cuore). Fu presentata al Festival di Sanremo 1971 da Little Tony con la Formula 3, complesso già nell’area “battistiana” e forse per questo sorsero subito dei dubbi sulla totale estraneità dell’artista di Poggio Bustone al progetto compositivo: infatti, ormai da diversi anni, i crediti sulle note di copertina di questo pezzo vedono celebrare anche il nome Battisti, al contrario di quanto accade per La spada nel cuore.
I testi di Mogol per Battisti non hanno mai espressamente parlato di Dio (solo un fugace “…tu sola sai se credo in Dio” in Pensieri e Parole) e l’unica canzone “esistenziale” del duo risulta Anche per te. Anche La folle corsa sentita nell’interpretazione di Little Tony e Formula 3 è così intrigante nella sua confezione rock (più classico per il primo, progressivo per i secondi) che il testo scivola via con facilità. E’ da questa interpretazione “inedita” di Lucio, invece, che esce in tutta la sua potenza drammatica. E’ nella voce accorata, quasi come a chiedere “veramente”, con sincerità “Tu … dammi la fede persa … tu che puoi …”. E’ la voce politicamente scorretta (all’epoca) di Battisti, accompagnata da il suono concitato di una chitarra, da lui stesso suonata, che rende il brano un gospel blues che ti tramortisce e ti procura vertigini inaspettate.
C’è tutta la straziante inadeguatezza della condizione umana, che si dibatte tra amore carnale e fatue ricchezze a cui manca un senso “ Io di notte con lei, vedo il sole lo sai, ma svegliandomi, poi, il buio! Il denaro che ho anche lui brilla un po’, ma ritorna però il buio! Io vorrei pregare, ma le mani non so unire” E’ il desiderio di qualcosa, di qualcuno che dia un senso alla propria vita, altrimenti, si, tutta la vita è una “folle corsa”, se “Tu non mi dai indietro “la fede persa” perché “senza di Te cadrei … la mia è solo una folle corsa”. E così, tra buio e luce, tra corse in auto e bicchieri d’alcool, cercare un senso, che si scopre perduto con la propria fede. Ma attenzione: non è “voglio cercare in senso a questa vita, anche, se questa vita un senso non ce l’ha!” è “ Tu che lo puoi, dammi la fede persa!”. Per quanti decenni abbiamo “sentito” questa canzone e non l’abbiamo mai “ascoltata”! Ancora una volta, grazie Lucio.