
La crisi in corso in Afghanistan ha aperto un nuovo fronte di scontro tutto interno al Consiglio di cooperazione del Golfo tra Qatar ed Emirati. Finiti i tempi dell’amministrazione Trump, che nel corso del 2020 aveva convinto la riluttante Abu Dhabi a seguire l’alleato saudita nel porre fine all’embargo contro Doha in corso dal giugno del 2017 firmando il 5 gennaio la dichiarazione di Al Ula, i due Paesi hanno aperto una nuova linea di confronto nell’infinito conflitto afgano.
Nei tre lunghi anni di embargo il Qatar ha sfruttato la questione afgana e il suo rapporto stretto con i talebani per mantenere vivo il proprio ruolo strategico agli occhi di Washington, mentre i rivali – Arabia Saudita, Bahrein, Emirati ed Egitto – isolavano i suoi confini, mettevano la storica emittente Al Jazeera e boicottavano i suoi prodotti. L’accordo tra Stati Uniti e talebani del 29 febbraio 2020 firmato a Doha ha elevato l’emirato del Golfo al ruolo di mediatore di una delle crisi più importanti della storia recente, lasciando ai margini un Paese come gli Emirati noto per le sue grandi ambizioni regionali. Vale la pena ricordare che furono proprio gli Emirati a offrirsi per ospitare colloqui sull’Afghanistan nel 2018 nel tentativo di aumentare la propria influenza politica nell’Asia meridionale. Dopo la conquista talebana dell’Afghanistan e il ritiro disordinato delle forze Usa, il Qatar è al momento l’unico stretto alleato degli Stati Uniti che vanta un rapporto tale con i talebani in grado da poter influenzare e in qualche modo dirigere le loro azioni.
Ghani e la fuga ad Abu Dhabi
L’accreditamento presso le cancellerie occidentali, ha permesso a Doha di portare avanti un ruolo particolarmente ambiguo, da un lato trasportare a Kandahar il co-fondatore e leader dei talebani Abdul Ghani Baradar a bordo di un proprio C-17, dall’altro aiutare l’evacuazione dei cittadini americani dal caos di Kabul. In base a quanto riferito dal Washington Post, l’ambasciatore del Qatar in Afghanistan avrebbe scortato piccoli gruppi di americani nell’aeroporto per garantire loro un passaggio sicuro. Di fronte alle azioni del rivale qatariota, gli Emirati hanno fatto la loro mossa, confermando la propria lontananza dall’ideologia estremista. A differenza di partner storici come l’Arabia Saudita, Abu Dhabi ha optato non per il pragmatismo, ma per una scelta di campo offrendo al presidente afgano Ashraf Ghani rifugio dopo la fuga da Kabul il 15 agosto.
Nella capitale emiratina, Ghani, ormai leader sconfitto e capro espiatorio per il disastro afgano, ha lanciato il suo messaggio alla nazione, lavorando come un leader in esilio e portando con sé oltre un centinaio di milioni di dollari (164 secondo le stime) di fondi statali, ma probabilmente anche documenti segreti che sono ora nelle mani degli Emirati, ad oggi l’unica nazione araba che abbia contribuito con truppe allo sforzo militare guidato dalla Nato in Afghanistan.
La partita tra Qatar ed Emirati
Come Abu Dhabi utilizzerà questa leva non è ancora chiaro. Tuttavia, appare evidente che terminato il ritiro Usa, e di conseguenza la sua influenza sull’intera aerea, fatta eccezione per l’Iraq, saranno i Paesi regionali a giocare la loro partita. Il primo fronte è quello vicino ai fratelli musulmani formato da Qatar e Turchia che avrà sicuramente rapporti con il nuovo governo, insieme all’Iran. Teheran ha un confine lungo 921 chilometri con l’Afghanistan e ha trascorso anni a prepararsi al ritiro Usa e al ritorno dei talebani. Gli Emirati insieme all’India e a Israele potrebbero essere invece i tre Paesi a costituire un fronte di opposizione reale al regime dei talebani.
L’Arabia Saudita, dopo il rilancio dei rapporti con Doha, appare propensa ad una posizione pragmatica, mentre l’Egitto è troppo al di fuori geograficamente per avere una qualche voce in capitolo. Se la posizione dell’India appare chiara, il ruolo di Israele potrebbe non essere quello di semplice spettatore. Infatti insieme al Qatar, l’Iran si sta ponendo come il principale vincitore della competizione mediorientale per l’influenza in Afghanistan. Continua a mantenere legami con gli attori del defunto governo afgano, ha forti legami con la minoranza sciita del Paese e ha quello che sembra essere un rapporto costruttivo con i talebani, anche alla luce delle esportazioni nel Paese che ammontano a 2 miliardi di dollari all’anno in beni di consumo.