La Corte europea dei diritti umani condanna l’Italia perché non sa tutelare i padri separati

Di Chiara Rizzo
09 Febbraio 2013
Intervista all'avvocato Matteo Santini, direttore del Centro studi e ricerche sul diritto di famiglia, sull'importanza della decisione di Strasburgo. «Sentenza storica».

Lo scorso 29 gennaio la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato per la prima volta l’Italia per aver violato il diritto al rispetto della vita familiare di Sergio Lombardo, che dopo la separazione dalla moglie per anni non ha potuto incontrare, se non in pochi episodi, la figlia. Nel 2003 il Tribunale dei minori di Roma aveva affidato la custodia prevalente della bambina, che allora aveva 2 anni, alla madre, stabilendo che il padre la visitasse due pomeriggi a settimana, due fine settimana al mese fino ai 3 anni della bimba, e poi ancora 3 giorni per le feste di Pasqua, sei nelle vacanze di Natale, dieci giorni in estate. Questa disposizione non è mai stata applicata: dal 2003 al 2005 Lombardo ha presentato diversi ricorsi, tutti accolti, ma la madre si è sempre opposta a fargli incontrare la figlia.
I tribunali di primo e secondo grado hanno sempre delegato ai servizi sociali l’organizzazione degli incontri, che però non sono avvenuti se non in modo saltuario. La situazione è proseguita anche successivamente al 2005, quando i giudici hanno limitato la custodia prevalente alla madre e poi ingiunto più volte ai servizi sociali di pianificare gli appuntamenti. «Tra il 2009 e il 2010 Lombardo – scrive la Corte di Strasburgo – ha ricorso ai tribunali più volte per far rispettare i suoi diritti. Finché nell’ottobre 2010 anche il tribunale dei minori ha dichiarato l’interruzione de facto degli incontri. Solo nel 2011 la madre ha cominciato a non opporsi più: i tribunali hanno quindi ordinato la chiusura del procedimento e ai servizi sociali di sorvegliare che la bambina proseguisse un programma di sostegno psicologico».
Per la Corte europea l’Italia dovrà pagare 15 mila euro di danni più 10 mila di spese a Lombardo, perché «anziché prendere misure proprie a garantire il diritto di vedere la figlia, il tribunale italiano si è limitato a prendere nota della situazione della bambina e a ordinare a più riprese ai servizi sociali di mantenere il programma di sostegno psicologico, prima per la madre e poi anche per la bambina». «È una sentenza innovativa per un problema che riguarda moltissimi casi» spiega a tempi.it l’avvocato Matteo Santini, direttore del Centro studi e ricerche sul diritto di famiglia.

Perché?
In questi casi di separazione e divorzio spesso si verifica l’ostruzionismo di un coniuge  per non fare vedere il figlio all’altro coniuge. Gli strumenti dell’ordinamento italiano sono molto lenti e poco efficaci. Spesso accade ad esempio che il genitore con la custodia prevalente non porti il figlio all’appuntamento con l’ex coniuge: la procedura prevede che ognuna delle parti debba rivolgersi ogni volta al tribunale e ciò ovviamente richiede mesi prima di una decisione dei giudici. Si creano procedimenti su procedimenti e non se ne viene fuori. Nei casi più gravi vi sono denunce tra i coniugi che vanno ulteriormente approfondite dal tribunale e ogni volta il tribunale sospende momentaneamente la facoltà di visita al minore per accertare se le denunce sono strumentali e il bambino magari finisce per rivedere il genitore dopo anni.

La corte europea ha puntato il dito anche contro le misure dei servizi sociali, «automatiche e stereotipate».
Sì perché a volte i percorsi stabiliti dagli assistenti sociali sono lenti, perché i servizi hanno in carico diversi casi da seguire. Inoltre, sulla base di relazioni degli stessi servizi sociali, a volte superficiali, il tribunale dei minori si trova a prendere decisioni senza avere i corretti strumenti per farlo. Ogni caso dovrebbe essere valutato sotto il profilo sociale, psicologico. Invece le misure adottate sono spesso stereotipate quando nel diritto di famiglia non ci sono mai casi identici.

Con il Centro studi, lei ha un punto di vista importante sulle famiglie italiane. Ci sono altri casi come quello Lombardo?
I casi sono davvero tantissimi, centinaia se non migliaia. Di fatto anche con l’affidamento condiviso, il genitore che ha il collocamento prevalente può fare il bello e il cattivo tempo. Questa prima sentenza della Corte europea, però, per me potrà cambiare poco, perché vanno modificate le procedure nel diritto di famiglia. Vanno messe in atto delle procedure immediate. Tutti ricordiamo il caso del bambino di Padova, strattonato dalla polizia: è una vicenda nata in un contesto simile a quello di Lombardo, una lotta tra i genitori. In quel caso il provvedimento del giudice è stato eseguito sì, ma brutalmente. È chiaro che non bisogna arrivare a quel punto: sotto questo punto di vista anche noi avvocati abbiamo un compito importante, quello di tutelare il diritto più importante del minore, prima che quello dei singoli assistiti.

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