Colpo basso della procura di Taranto contro l’Ilva. Nel match che da mesi vede contrapposta l’azienda dei Riva ai giudici che a luglio hanno imposto lo spegnimento dei forni e il conseguente blocco della produzione di acciaio, i togati hanno infatti deciso di impedire allo stabilimento tarantino anche la vendita dei beni già prodotti, sicuri, e pronti per essere acquistati. Svuotando di fatto le casse che servono all’azienda per pagare gli stipendi e fare gli investimenti necessari per l’adeguamento alla nuova Autorizzazione integrata ambientale (Aia), rilasciata dal ministro all’Ambiente Corrado Clini. Ma non è altro che l’ultimo episodio in ordine di tempo in una battaglia ancora aperta dove, se il governo non interviene, ad avere la peggio probabilmente saranno i lavoratori, le cui sorti in ogni modo dipendono da decisioni prese sopra le loro teste: decisioni che spettano al governo, «che alla produzione di acciaio ha dato l’ok rilasciando la nuova Aia», così come peraltro è previsto dalla legge, e alla procura che, invece, ha dapprima imposto il sequestro degli impianti e che ora «ha deciso di fermare il materiale pronto per essere commerciato». «Una decisione priva di senso» e che in nessun modo «spetta ai giudici», commenta Carlo Mapelli, docente di Metallurgia al Politecnico di Milano.
Professore, a Taranto, dopo che la procura ha negato il dissequestro degli altiforni confiscati a luglio, ora sono stati sequestrati anche i prodotti finiti destinati alla vendita. La giustizia italiana sembra che non ne voglia sapere di aiutare l’azienda a ripartire.
L’intervento con cui la procura ha deciso di fermare il materiale pronto per essere commercializzato sulle banchine è privo di senso. L’appiglio giuridico è stato trovato solo per indurre l’Ilva a bloccare l’impianto. Cosa che poi, di fatto, è accaduta oggi con il fermo dei laminatoi.
Eppure il governo ha dato l’ok alla ripartenza dell’impianto rilasciando la nuova Aia. Perché i giudici si oppongono?
Dice bene, l’Aia è l’autorizzazione prevista dalla legge perché l’azienda possa operare in sicurezza, nel pieno rispetto delle norme sanitarie e a tutela della salute, è il documento necessario e sufficiente perché l’Ilva possa esercitare la sua attività; al suo interno sono oltretutto contenuti il cronoprogramma da seguire per l’ulteriore riduzione delle emissioni e la messa in sicurezza degli impianti. Ciononostante i giudici hanno deciso che l’azienda dei Riva non fosse adeguata a svolgere la propria attività. L’hanno deciso loro anche se è al ministero che per legge spetta il compito di imporre limiti alle emissioni e stabilire l’idoneità alla produzione. E il ministero, sul punto, si è pronunciato positivamente rilasciando l’autorizzazione.
Che cosa si rischia adesso?
Ora che la procura ha inibito all’Ilva la possibilità di commerciare prodotti sicuri è bloccata la cassa. Ma non solo, così si è bloccata anche la possibilità di pagare gli stipendi ai dipendenti e di fare gli investimenti di cui c’è bisogno per adeguarsi ai parametri contenuti nella nuova Aia.
Mentre l’arcivescovo di Taranto Filippo Santoro auspica «soluzioni condivise», si dice che il governo possa optare per la trasformazione dell’area in “sito di interesse strategico nazionale”, come avvenne per la discarica di Acerra, aggirando di fatto lo stop dei giudici. È vero?
Non saprei… È possibile, ma di certo vorrebbe dire rendere lo scontro con la magistratura più violento di quanto già non sia.
C’è chi dice che lo studio epidemiologico del progetto Sentieri sull’area di Taranto non dimostra l’esistenza di alcun tipo di correlazione tra la crescita nel numero di tumori e la produzione dell’Ilva. E proprio su questo studio fanno affidamento le decisioni dei giudici che hanno imposto lo stop alla produzione. Come la mettiamo?
È vero. Sentieri ha offerto un’ottima fotografia della situazione relativa alle malattie epidemiologiche nel tarantino. Ma è ancora da stabilire la connessione tra i tipi di tumori riscontrati e le loro eventuali cause. In questo senso, non è stata stabilita alcuna correlazione tra le attività industriali compiute nell’area (che sono anche altre oltre a quella dell’Ilva) e le malattie più frequenti.
Bisognerebbe chiedere i dati all’Asl di Taranto…
Esatto. L’Asl dovrebbe disporre di tutti questi dati sull’igiene ambientale, alimentare e quant’altro.