
Tentar (un giudizio) non nuoce
La Chiesa è un popolo

Sono stato al funerale di papa Francesco. Il giorno prima ho anche fatto le mie tre ore di coda per rendere omaggio alla salma del Santo Padre dentro la Basilica di San Pietro.
Che cosa mi è rimasto di questa esperienza?
La prima cosa che mi ha colpito è che la Chiesa è veramente un popolo. Sì, certo, è il popolo di Dio. Ma è un popolo anche su questa terra. Non condivide lingua e nazione, anzi! Lì, in coda o in piazza, potevi avere di fianco, come è accaduto a me, una coppia venezuelana emigrata in Cile, insieme a un gruppo di adolescenti di un oratorio romano, due splendide figliole americane, vicino a un gruppo della Gioventù Don Bosco dal Piemonte e poi tanti volti di donne e uomini di ogni continente e colore: bianchi e neri, orientali e occidentali, famiglie con bambini, giovani in gruppo e vecchi dai capelli canuti e dall’andamento incerto.
Li vedi questi cristiani: sì, sono uguali a tutti. Sgomitano per conquistare un metro in fila, con l’afrore delle loro ascelle sudate, fanno i selfie persino dentro la Basilica con la bara del Papa, urlano e si aiutano per far passare qualche bottiglia d’acqua di quelle che la protezione civile distribuisce per evitare svenimenti. Eppure sono diversi da tutti. Lo vedi dalle loro facce. Sono facce carnali, come quelle che incontri in metropolitana o allo stadio, ma hanno stampato qualcosa che sa di speranza. È difficile da spiegare senza averlo visto.
Eravamo a un funerale, eppure non c’era disperazione; persino la tristezza era mitigata da una allegria, bisognerebbe dire una gioia che, soprattutto dai più giovani, trasudava continuamente.
Così capitava che i gruppi visti in coda a San Pietro li reincontravi in fila per un gelato o per un piatto di carbonara e li ascoltavi nuovamente mentre cantavano insieme.
Verso la speranza
Roma in quei giorni, complice anche il Giubileo degli adolescenti – che doveva coincidere con la canonizzazione di Carlo Acutis, poi rinviata perché senza il Papa nessuno può firmare il Decreto che formalizza la santità su questa terra -, era uno spettacolo popolato da gruppi di ragazzi che si tenevano per non perdersi nel trambusto della folla, ma anche che si sostenevano per non perdersi nel trambusto della vita. Guidati dai loro sacerdoti, dalle suore, dai catechisti, dagli adulti che li accompagnavano, si facevano portare insieme verso la porta della speranza. Sia quella Porta Santa, aperta a San Pietro per il Giubileo, che poi alla conclusione verrà murata come di consueto; sia verso la porta della speranza di una vita vera, vissuta intensamente, piena di significato e di utilità per sé e per gli altri. Perché quella è la porta del cuore, che non viene mai murata; quella che consente di sperare in una vita migliore e più buona, non perché preservata dai dolori e dalle fatiche, ma perché dentro i dolori e le fatiche sa dove e chi guardare: a Gesù, il risorto che vive per sempre nel volto e nella carne della compagnia della Chiesa.
È un fatto che mi ha colpito particolarmente in quei giorni, che sono stati giorni di grazia per me, mia moglie e la mia famiglia, passati insieme a nostro figlio. Un figlio che si era allontanato e, in modo del tutto inatteso e insperato, abbiamo ritrovato. Uno di quei tanti piccoli miracoli che costellano la nostra vita, che non verranno mai riconosciuti ufficialmente e talvolta non vengono riconosciuti neppure da noi, ma accadono, come una sorpresa, al di fuori di tutte le previsioni giustificate dai fatti antecedenti.
Chiunque sia il prossimo Papa
Questo popolo, di cui mi sento parte, una volta di più, mi ha colpito: così eterogeneo e così simile, così diverso per lingua, età, cultura e così uguale per la speranza che porta, perché trasformato da un incontro, da un fatto, non da una dottrina teorica o da un insieme di riti e precetti, ma da qualcosa che sta accadendo ora, che ha toccato ciascuno di loro cambiandone la vita. Per questo è realmente il popolo di Dio!
Così, attendo sereno chi sarà eletto al soglio di Pietro e non intendo partecipare al coacervo di parole, previsioni, persino scommesse su chi sarà il nuovo Papa. Perché chiunque verrà eletto, conservatore o riformatore, italiano o straniero, bianco o nero, la certezza della fede e la forza della Chiesa riposa nell’unità del popolo di Dio e in quell’incontro personale con Cristo che continuamente si rinnova in chi lo accoglie e si apre a Lui. Per questo, se posso esprimere un auspicio, mi piacerebbe sentir risuonare in Piazza San Pietro dopo la fumata bianca parole simili a quelle con cui esordì Giovanni Paolo II: «Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa cosa c’è dentro il cuore dell’uomo». Nel mio come nel tuo, amico mio, che leggi questo articolo.
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