Nella mia vita sono stato insultato per la mia fede religiosa, per la mia (più o meno convinta) appartenenza politica, per il mio appoggio a una squadra di calcio, il vecchio Grifo (parecchio), perché ero della terza A, perché ero del liceo classico, perché ero di un certo paese e non di un altro. Per molte di queste cose mi becco ancora una bella scarica di contumelie anche adesso.
Ma nella mia vita, il numero maggiore di insulti, sarcasmi, ironie, battute, le ho ricevute a causa della mia “diversità”, di cui devo accusare solo me stesso. Infatti sono stati i miei numerosi peccati, soprattutto uno, e non altro, a ridurmi così come sono. Per cui, in ogni continente, in tutte le lingue del mondo, tutti gli appartenenti al genere umano, uomini, donne, vecchi e bambini, mi hanno raggiunto con le loro frecciate.
Talvolta, molto tempo fa, mi sono vergognato di me stesso e ho sognato di essere normale, di essere “giusto” e di non dovermi rifugiare in certe “zone ghetto” con gli altri miei sfortunati simili. Da un po’ ho imparato ad accettarmi così come sono, anzi mi sono inventato anche una specie di orgoglio.
Bene. A questo punto, però, arrivato nell’estate del 2013 mi trovo sbalestrato. Mi domando, infatti, compagni e amici, per quale ragione tutti potranno continuare impunemente a chiamarmi “ciccione di merda”, mentre io rischierò l’incriminazione alla prima barzelletta sui froci.