Ilva di Taranto, il decreto sarà firmato mentre la produzione continua tra imprevisti e ostacoli
All’Ilva si lotta per continuare a produrre. È di queste ore la notizia che la procura di Taranto ha chiesto al gip del tribunale Patrizia Todisco l’emissione di un mandato di arresto europeo nei confronti di Fabio Riva, vicepresidente di Riva Fire, il gruppo proprietario dell’Ilva, ma gli operai di fermare la produzione non ne vogliono sapere. E tra mille difficoltà, non ultimo il sequestro di due gru per lo scarico delle materie prime, continuano a produrre con i mezzi che i magistrati hanno lasciato loro a disposizione, nell’attesa che anche i prodotti finiti, frutto del lavoro degli scorsi mesi, siano presto dissequestrati. Per quanto riguarda, invece, le sorti del decreto “Salva-Ilva”, che secondo alcuni giornali non vedrà mai la luce a causa della imminente fine del governo Monti, e così dello stabilimento, secondo Gennaro Oliva, sindacalista e operaio della Uilm tarantina, non c’è motivo di preoccuparsi: «Il decreto verrà approvato».
Il decreto per il dissequestro verrà approvato?
Stando a quello che sappiamo, sì. Io sono andato anche all’incontro a Roma con il presidente del consiglio Mario Monti e in quell’occasione è stata espressa la comune volontà di tutti i ministri, i politici e i partiti presenti di approvarlo. Non mi risulta che sia cambiato qualcosa.
Adesso come è la situazione nello stabilimento?
Il problema principale è quello dello scarico delle materie prime. Subito dopo la morte di quel ragazzo (Francesco Zaccaria, ndr), infatti, gli operai gruisti non volevano più salire sulle gru. E non tutte le gru sono munite di pulsantiera, comandabili da terra. Solo alcune hanno il radiocomando. Oltretutto un paio, come da prassi, sono state poste sotto sequestro dalla magistratura, in seguito all’incidente. Non possiamo pertanto dire di essere in produzione a pieno regime, no. Anzi, abbiamo dovuto ridurre la capacità produttiva.
E nella zona a caldo come procedono i lavori?
Un forno è stato fermato per i lavori di bonifica a tutela della salute; un altro, invece, è fermo perché non arriva la ghisa. Sono quattro, pertanto, gli altiforni in funzione: sono l’Afo1 e l’Afo5, più l’Afo2 e l’Afo4 che si alternano per tenerli in preriscaldo quando non sono utilizzati.
Che fine hanno fatto i prodotti sequestrati?
Continuano a rimanere sotto sequestro. Anche se a giorni dovremmo avere la risposta della procura. Staremo a vedere perché, in base alla risposta, si potrebbero aprire nuovi scenari. In caso di dissequestro, infatti, molti reparti potrebbero ripartire: è il caso, per esempio, dell’area della laminazione e della logistica e servizi. Qualora invece il dissequestro non dovesse avvenire, gli stabilimenti a valle dell’azienda sarebbero i primi a fermarsi.
Quanti operai non lavorano ancora?
Molti sono a casa per via dell’uragano e degli impianti in disuso demoliti. Altri ancora sono in cassa integrazione per effetto del sequestro. Grazie al cielo, invece, 100 unità dell’area a caldo non sono in cassaintegrazione ma vengono spalmati in turni con gli altri. Comunque sia, si può dire che, ogni giorno, almeno 400/500 operai restano a casa dal lavoro. Per quanto ci riguarda, come sindacato, dal 26 luglio ad oggi, abbiamo sempre cercato di fare il nostro dovere, tutelando prima la salute e poi il lavoro. E penso che, con tutto quello che si è fatto, e grazie anche alla magistratura, all’Aia e alle bonifiche, andremo solamente nella direzione di un miglioramento continuo dello stabilimento, che sarà presto ecocompatibile a tutti gli effetti.
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