Da quando l’Ilva di Taranto è in scacco ai giudici e alle procure, i mancati pagamenti nel settore siderurgico sono in aumento. Non tanto per frequenza (+8 per cento nel 2013 rispetto al 2012), quanto piuttosto per severità (+22 per cento), che è l’indicatore che ne misura l’importo medio, che ormai ha raggiunto un valore pari a 37 mila euro. A certificarlo è l’ultimo report di Euler Hermes Italia (gruppo Allianz) condotto su un campione di 450 mila imprese e per cui la produzione dell’acciaio in Italia «è in diminuzione a causa delle difficoltà dell’Ilva e degli altri poli siderurgici italiani». Molti dei quali, tra l’altro, come Genova, Novi Ligure e Marghera, sono sempre di proprietà dell’Ilva.
In particolare, come si evince dalla tabella qui sotto, i mancati pagamenti – che rappresentano l’anticamera delle insolvenze che a loro volta spesso danno il là ai fallimenti – sono un fenomeno in crescita nel mercato domestico, dove l’Ilva assume un peso rilevante per via della sua stessa presenza e l’indotto. Mentre i mancati pagamenti dall’estero verso le aziende italiane stanno calando sensibilmente, sia per frequenza (-33 per cento) che per severità (-24 per cento).
QUALI DIFFICOLTÀ? Ma quali sono le «difficoltà dell’Ilva» cui Euler Hermes fa riferimento? Sicuramente una è la crisi generalizzata del comparto, con cui anche l’acciaieria di Taranto si trova a dover fare i conti: «La siderurgia del nostro Paese – spiegano gli esperti di Euler Hermes – è al secondo posto in Europa alle spalle della Germania ed è apprezzata in tutto il mondo per qualità e tecnologia». Ma, proseguono gli esperti, «dopo un ciclo espansivo il mercato è stato colpito negli ultimi anni da una crisi senza precedenti». E il 2013 «si è chiuso con valori della produzione in diminuzione (-12,2 per cento) sia per i piani sia per i lunghi (-19 per cento)». Il comparto dei lunghi, in particolare, è in sofferenza perché è «fortemente connesso all’andamento dell’edilizia così come l’automotive».
In questa Caporetto dell’acciaio, però, è impossibile negare che anche l’assurdo stop imposto dai giudici alla produzione nello stabilimento pugliese, oltre al sequestro dei beni già prodotti e degli 8 milioni di euro ai Riva, abbiano avuto il loro peso. Una follia, come raccontato anche dall’ex ministro dell’Ambiente Corrado Clini a Tempi e tempi.it e che, guarda caso, è durata proprio dal 26 luglio 2012 al 20 dicembre 2013. Il periodo che, come dimostra il grafico successivo, coincide con la crescita dei mancati pagamenti.
Un durissimo colpo non solo per l’Ilva, ma per l’intera siderurgia e ed economia italiane quello «inflitto dagli abnormi provvedimenti della magistratura contro i Riva», come ebbe a spiegare a tempi.it il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi. L’acciaio in Italia è, infatti, ormai inesorabilmente destinato a perdere colpi (e quote di mercato mondiali) a vantaggio della concorrenza, Germania e Turchia in prima fila. Una mazzata le cui conseguenze, oltretutto, saranno destinate a farsi sentire a lungo, visto e considerato i danni causati dai giudici agli impianti della più grande acciaieria d’Europa e alle 40 mila famiglie degli italiani che lì ancora ci lavorano.
MA NON C’È SOLO ACCIAIO. Nel 2013, prosegue il rapporto di Euler Hermes, peggio dell’acciaio ha fatto il comparto delle commodities, specialmente in ambito energetico (gas e petrolio su tutti), dove il calo dei consumi, il prezzo della materia prima e l’eccesso di offerta l’hanno fatta da padroni, contribuendo a determinare una crescita degli importi medi dei mancati pagamenti pari al 42 per cento, per insoluti mediamente del valore di 94 mila euro. È di 34 mila euro, invece, l’importo medio per la chimica, 27 mila per i trasporti e 15 mila per il food.