Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Boris ha pensato: non c’è giustizia a questo mondo. Proprio nessuna. Neppure tra le vittime. C’è chi riceve una misura più larga, e chi neppure una goccia di benedizione pubblica, non una lacrima delle masse. Non che questo importi molto a chi è stato ucciso, ma nel bilancio dell’égalité, fraternité ecceterà (con l’accento, please) qualcosa vuol dire. Non siamo capaci di fare nemmeno le giuste parti del dolore sociale, della celebrazione di Stato. La morte sarà una livella, ma le lapidi, i monumenti, la fama discriminano.
Il riferimento è alla discriminazione subìta ad esempio dalla dottoressa di Novara, di cui nessuno ricorda il nome, nemmeno Boris, che deve andare a controllare su internet, per vedere se c’è qualche traccia di lei, assassinata mentre umilmente dava la sua vita ai poveri in Kenya. Mattarella c’era? C’è stata una tribù di vescovi silenti e imam oranti? No, figuriamoci. La dottoressa Rita Fossaceca è stata trucidata in mezzo ai poveri che era andata a servire. I funerali di Rita ci sono stati il 6 dicembre, a Novara, in chiesa. Nessuna prima pagina di nessun giornale. C’era il vescovo, ci sono state molte lacrime private. Va bene così. Forse perché non è stata vittima del terrorismo mancavano le massime autorità dello Stato? Boris non sa.
Qualche mese prima però c’erano stati i morti ammazzati in Tunisia dall’Isis, mentre andavano al Museo del Bardo. Italiani, brave persone. I funerali alla Consolata di Torino per Antonella Sesino e Orazio Conte con l’arcivescovo e il sindaco e «alcune centinaia» di torinesi: qualcuno ha mai fatto i loro nomi in diretta televisiva? C’era Afef, moglie del Marco Tronchetti Provera, tunisina e piena di dolore. Ma erano normali funerali cattolici. Come a Novara, per Francesco Caldara. La quarta vittima è brianzola, di Meda, Giuseppina Biella. Idem.
Il nome della povera Valeria Soresin invece lo ricordano tutti, ed è giusto, per fortuna almeno un nome. Il fatto è che Valeria – e lei oggi lo sa bene, tra le braccia del Padre – era perfetta per essere un addobbo delicato e sontuoso alla cultura del momento presente e di quello futuro. Vittima mentre era a Parigi, ricercatrice universitaria, sociologa, di Emergency, al Bataclan, concerto di una band rock. Che cosa e chi dirige l’opinione pubblica nei lutti, così da concedere un compianto di prima classe a uno negandolo invece all’altro? Forse perché il rito è stato lividamente laico, multiculturale, senza che si pronunciasse il nome di Cristo, con piazza San Marco gonfia di alti papaveri e alti pennacchi?
Boris crede si sia usata ingiustizia soprattutto a lei, a Valeria, pensandoci bene.
Gesù per fortuna non è così. È venuto per tutti. Allarga le braccia a tutti, e ora in cielo è di certo pace.
Non c’è giustizia a questo mondo. Senza Cristo non c’è. Anche con Cristo che è venuto, essa è fatta a pezzi. Eppure ne ho avvertito il sapore nella piazza del mio paese, a Desio. Madri infreddolite vendevano i prodotti che per mesi hanno inventato e reso bellissimi rubando il tempo al sonno, pur di allestire le “Tende di Natale (Avsi)”. “Profughi e noi, tutti sulla stessa strada”, si chiamava questo evento. Dice il manifesto: «Dal Sud Sudan alla Siria, dai campi profughi in Iraq, Libano e Giordania fino alle nostre case: la campagna Tende quest’anno propone di sostenere il cammino di chi è stato costretto a lasciare la propria casa. Almeno per un tratto».
Sì, il denaro raccolto è importante, ma c’era qualcosa di più, di infinitamente prezioso. Ragazzi cantavano in coro. E c’era il tepore dell’amicizia per tutti, un’amicizia figlia di Gesù che viene ancora, senza del quale la morte vince, come a Parigi, come a Venezia. Siamo tutti profughi, ma non è un cammino disperato.